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Apro la porta di casa esattamente alle otto e mezza del mattino.

In realtà, in questo momento mi dovrei trovare in reparto a lavorare. Infatti, dopo aver passato la notte con Dylan, ho lasciato la mia comodissima poltroncina per andare a cambiarmi in spogliatoio e affrontare, anche se a fatica, una nuova giornata. Tuttavia, mi sono imbattuta nel dottor Myers che ha insistito perché non rimanessi, mandandomi quindi a casa.

Devo ammettere che non mi è dispiaciuto sentirmelo dire. In tutto questo, però, più che per compassione, sono profondamente convinta che siano state le mie enormi occhiaie ad averlo portato a darmi un giorno di riposo. Infatti, non sono riuscita a dormire nemmeno un quarto d'ora perché ho avuto costantemente l'ansia che l'emorragia ritornasse da un momento all'altro.

Maledetta me che mi preoccupo del mio ex, come se già non avessi altro a cui pensare tipo un matrimonio tra pochissimi giorni.

A grandi falcate percorro il corridoio che collega l'ingresso alla mia camera e qui, con grande piacere, lascio cadere a terra la borsa che, anche se leggera, mi ha stremato sin da quando sono uscita dall'ospedale.

E solo adesso che alzo lo sguardo, ricordo lo stato di totale confusione in cui ho lasciato la stanza: scatoloni dappertutto, valigie aperte, vestiti ancora volanti e il letto completamente sfatto.

Sbuffo alla vista del più grande pandemonio mai esistito e che sicuramente mi terrà occupata ancora per un po', ma non mi lascio affliggere dall'idea perché non è ora quel momento.

Adesso è tempo di dormire, ma prima la colazione.

Sogno una tazza di latte e cereali all'incirca dalle tre di stanotte, cioè da quando ho sgranocchiato una barretta delle macchinette che mi ha fatto risalire pure il pranzo di Natale di dieci anni fa, sempre che io lo abbia fatto un pranzo di Natale dieci anni fa.

Rabbrividisco al solo pensiero.

Dunque, velocemente raggiungo la cucina con l'intento di mangiarmi anche le gambe del tavolo e poi di andarmene a sonnecchiare, però i miei piani vanno immediatamente in fumo perché, seduta nello spazio angusto, c'è Victoria.

«Vic, devi smetterla di comparire dal nulla, altrimenti una volta o l'altra mi farai morire di infarto», affermo con una mano posata sul petto. «Mi avevi detto che saresti stata qualche giorno da Vince, o sbaglio?»

«Lo so, ma dopo quello che è successo ho pensato che fosse meglio non lasciarti del tutto da sola», mormora sincera. «Oltretutto ti devo delle spiegazioni»

Quali spiegazioni?

Il mio cervello è intorpidito dal sonno.

Ah giusto, Dylan!

La cartella clinica!

Cavolo, è vero!

Che stupida, come ho fatto a dimenticarmene?

«Allora? Perché il referto diceva una cosa quando la realtà dei fatti era un'altra? Tu chiaramente sapevi ma non hai fatto nulla, il che ti rende colpevole di quanto è successo», le parole mi escono dalla bocca a macchinetta mentre prendo posto accanto a lei.

Calma, Olivia. Victoria avrà sicuramente una buona motivazione.

«Mi ha chiesto Dylan di farlo», risponde immediatamente anche se posso percepire la grande forza di volontà che le ci è voluta per farlo.

Scherzavo, la sua non è una buona motivazione.

Le ha chiesto Dylan di farlo?

Non sto capendo assolutamente nulla.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora