13

2.3K 72 104
                                    

Cammino per i corridoi dell'Artemis General Hospital in religioso silenzio, rimanendo alle spalle del poliziotto che poco fa si è presentato alla mia porta e ha insistito per accompagnarmi fino alla stanza di Dylan. Non ho avuto il coraggio di dirgli che, lavorandoci, ormai conosco questo posto come le mie tasche e che sarei riuscita a trovarla da sola senza la sua assistenza. Però, sembrava così disposto a far qualcosa per qualcuno, per me, che ho deciso di non dire nulla e accettare la sua proposta.

Dalle mie mani, intanto, ad ogni passo che compio penzola la giacca che ho portato con me prima di uscire di casa, non volendo farmi cogliere impreparata dal freddo della sera. Tuttavia, se devo essere onesta, il motivo principale per cui l'ho presa è che ho una grande necessità di stringere forte qualcosa tra le mani da quanto sono stressata ora come ora. Del resto, sto per rivedere il volto di chi tre anni fa mi ha tradito.

«Siamo arrivati», mi annuncia l'agente Evans risvegliandomi dai mille pensieri che mi annebbiano di continuo il cervello.

Riuscirò mai a smettere di stare con la testa fra le nuvole almeno una volta nella mia vita?

Nah, non credo proprio.

Ai lati della porta noto che sono appostati altri due suoi colleghi, con la stessa divisa e una postura rigida. Gli occhi sono rigorosamente rivolti al muro di fronte a loro, mentre le loro mani cadono in avanti per incontrarsi e sistemarsi una sopra l'altra. Solo uno dei due, però, tiene stretto fra le dita un portablocco su cui è posizionato un foglio.

«Signorina, prima di entrare deve compilare un modulo. È una procedura obbligatoria in questi casi», mi avvisa l'agente Price porgendomi il documento insieme a una biro, bloccandomi così il passaggio.

La targhetta oro col suo nome inciso sopra in nero brilla alla luce dei LED posizionati sul soffitto dei corridoi.

«Grazie», sussurro un po' imbarazzata facendo un passo indietro prima di afferrare carta e penna e scrivere velocemente il mio numero di telefono e, infine, il mio nome sotto la voce "firma". Erano gli unici campi ancora non completi. Anche il mio indirizzo era già stato inserito precedentemente.

«È la prima volta che mi succede», ammetto mentre gli restituisco tutto.

«C'è una prima volta per tutto, signorina... Green», risponde con un sorriso gentile leggendo dal foglio come mi chiamo per poi schiarirsi la voce. «Allora, una volta entrata, avrà quindici minuti di tempo per parlare con il signor Scott. Dopodiché, per qualsiasi altro problema la contatteremo per telefono, ok?», aggiunge sempre con fare educato e cordiale.

In risposta annuisco mormorando un semplice "grazie" e, non appena mi dà il via libera, entro in quella che in questo momento non potrei altro che definire stanza degli orrori.

Spero solo di star facendo la cosa giusta. Del resto, sono ancora tra i suoi contatti di emergenza, ma soprattutto sono un medico. Ho giurato di aiutare qualsiasi persona e quindi non posso tirarmi indietro.

«Olivia», sento solo sussurrare riconoscendo immediatamente la voce, ma non vedendo ancora il diretto interessato.

Sono ancora girata con il busto verso la porta e la mano appoggiata al pomello d'acciaio che non posso fare a meno di stringere forte, come con la giacca che tengo con la mano libera.

Lentamente, però, mi costringo a voltarmi verso colui che mi ha appena chiamato e, proprio come avevo previsto, mi sento subito sprofondare non appena l'azzurro spento dei suoi occhi incontra i miei.

Cavolo.

Solo ora mi rendo conto di quanto sia cambiato dall'ultima volta in cui l'ho visto di persona. Se prima si curava alla perfezione, adesso è identico a come quando, poco tempo fa, era ricercato e la sua foto segnaletica girava per tutti i notiziari: capelli scompigliati, barba incolta, viso particolarmente scavato e fisico denutrito.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora