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A due settimane dal matrimonio, finalmente la mia vita ha deciso di regolarizzarsi e di tornare al tenore di prima. Ciò che è cambiato, però, è che mi vedo ormai quasi tutti i giorni con Alex, che è diventato praticamente il mio migliore amico, e ho iniziato a condividere la casa con Nathan.

Il trasloco dal mio vecchio appartamento all'attico di Nathan è stato pressoché monotono dal momento che a trasportare tutti gli scatoloni e le valigie è stata un'impresa specializzata in questo, e non io, ma non me ne lamento affatto. L'unico mio apporto è stato, alla fine, quello di sistemare tutto al proprio posto all'interno della mia spaziosissima nuova stanza.

E sì, parlo di mia stanza perché Nathan ed io dormiamo separati. È già tanto se viviamo sotto lo stesso tetto. Ovviamente, è necessario se vogliamo che le persone credano alla nostra finta relazione. Tuttavia, non ne sono entusiasta e non sembra neanche essere chissà che soluzione dal momento che, qualche notte, il suo letto ospita donne diverse e chiunque potrebbe vederlo. Infatti, specialmente dopo aver fatto serata e averne conosciute di nuove, se le porta a casa e fa in modo di essere intrattenuto.

Per mia fortuna i muri sono insonorizzati, altrimenti credo che mi sarei già buttata dalla finestra la prima volta.

Non appena metto piede nell'attico dopo il piccolo viaggio in ascensore, mi dirigo immediatamente in camera mia per potermi liberare dei miei vestiti e fare una doccia calda, necessaria a sciogliere i miei nervi a seguito di una lunga giornata di lavoro in ospedale.

Ad avermi uccisa non è stata tanto la partecipazione attiva a parecchie operazioni, ma la miriade di persone che ancora mi ferma ogni secondo per chiedermi di me e Nathan.

Dopo l'uscita della notizia del nostro matrimonio, tutti sono diventati come degli avvoltoi, pronti ad attaccare per sapere anche la minima informazione sulla nostra relazione dal momento che, a detta loro, nessuno ne era a conoscenza.

È veramente una situazione invivibile, tant'è che a volte non mi sento nemmeno respirare.

Una volta fuori dal bagno con un asciugamano a coprirmi il corpo e un altro per i capelli, raggiungo l'enorme letto e con grande gioia mi ci posiziono al di sopra lasciandomi cadere su di esso di schiena.

Osservo così il soffitto bianco e alto e per poco non mi addormento se non fosse che a svegliarmi da questo stato di trance è Nathan che fa irruzione nella mia stanza.

Bussare non va più una moda?

«Cosa vuoi?», chiedo non alzandomi nemmeno per guardarlo. Ormai la mia coda dell'occhio è talmente sviluppata che non ho bisogno di girarmi per vedere chi sia.

«Ho ricevuto altre informazioni sui tuoi genitori», risponde semplicemente avvicinandosi per porgermi una busta, questa volta gialla e più grande rispetto alla prima che mi aveva dato il giorno del nostro matrimonio.

Lì dentro erano contenuti solamente i luoghi e le date di nascita, ma pur sempre un buon punto di partenza dal momento che non ne ero ancora a conoscenza. A quanto pare, mia madre era nata il 4 novembre 1967 a New Orleans, mentre mio padre il 28 aprile 1970 a Washington.

Per gli assistenti sociali ci voleva così tanto a darmi anche solo questo? A quanto pare sì.

«Grazie», rispondo fredda mentre alzo il busto e afferro il plico.

Le nostre dita si sfiorano per poco e, anche se non lo voglio ammettere, il contatto mi lascia una scarica di adrenalina fortissima tant'è che rabbrividisco.

«Ora puoi andare», mormoro osservandolo.

Tuttavia, lui rimane fermo al proprio posto. Dal suo viso sembrano trasparire delle emozioni che non gli ho mai visto provare: preoccupazione e agitazione.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora