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Con il caffè alla mano e un passo svelto mi ritrovo davanti all'ingresso dell'Artemis General in pochissimo tempo.

Dopo la dormita di questa mattina sono ancora parecchio intontita. Ne è una dimostrazione il fatto che sia dovuta entrare e uscire un paio di volte dall'appartamento prima di essere realmente pronta. Infatti, ho dimenticato le chiavi (fortuna che ci fosse Victoria in casa), il telefono e anche le scarpe. Non che le ciabatte fossero scomode, ma non le reputo propriamente adatte per camminare tra le strade trafficate di New York.

Non avendo ancora la forza di stare ferma in piedi per più di un minuto, decido di accomodarmi su una delle tante panchine che si trovano posizionate lungo la camminata che unisce i parcheggi e l'entrata dell'ospedale. Mi stringo dunque nel mio cappotto e, appoggiata la borsetta sulle gambe, sorseggio tranquillamente il mio caffè, che spero mi dia in fretta energia sufficiente per superare questo pomeriggio imminente.

È arrivato il momento di scegliere il mio abito da sposa.

Fa effetto pensarlo e non perché sia emozionante, ma perché non mi aspettavo di doverlo fare così all'improvviso, oltretutto con uno sconosciuto.

Una volta arrivata qui nella Grande Mela credevo che le cose un po' sarebbero cambiate, ma non così tanto.

Beh, certo. Questo avrei potuto palesemente evitarlo se avessi deciso di non firmare quel maledetto contratto. Eppure eccomi qui, da sola su una panchina ad aspettare che il mio futuro marito venga a prendermi per portarmi a comprare il vestito. Che barzelletta è la vita, vero?

Faccio scivolare il mio orologio sul polso per controllare l'ora: tre e mezza. Nathan dovrebbe finire il turno da un momento all'altro.

Sospiro nella speranza che la tensione diminuisca all'avvicinarsi del suo arrivo, ma invano. Infatti, non fa altro che aumentare ogni secondo che passa.

A peggiorare le cose è il pensiero di ciò che quel matto di Dylan volesse dirmi ieri prima di andare in arresto cardiaco. Chissà cosa gli sia passato per la testa a comportarsi così. Magari è una forma di pazzia precoce. O solo stupidità, come suggerisce il mio inconscio, il che potrebbe anche essere.

Perché devo incasinarmi la vita così tanto? Forse mi conviene chiudermi in casa e non uscire più.

«Nottataccia?», chiede Nathan fermandosi di fronte a me e riportandomi con la testa sulla Terra.

«Abbastanza», rispondo guardandolo dal basso verso l'alto, ancora seduta sulla panchina.

Che vizio che ha di apparire dal nulla. Odio quando fa così.

«Non impiegheremo molto tempo se ci sbrighiamo», afferma portandomi con un solo cenno ad alzarmi e seguirlo. Intanto, butto nel cestino il caffè ormai finito.

Raggiungiamo così la sua macchina velocemente e, dopo esser saltati su, ci dirigiamo verso la nostra meta. Questa volta l'auto è un'Audi R8, che già solo dagli interni mi dà della povera in ventimila lingue diverse.

Non credo che riuscirò mai ad abituarmi a così tanta ricchezza, e ho il presentimento che questo sarà un grande problema.

«Il vestito è già pronto all'atelier. Devi solo provarlo per vedere se è effettivamente della misura giusta o se necessita di qualche ritocco», mi avvisa Nathan.

Non posso negare che alle sue parole il mio cuore abbia perso qualche battito, perché fino ad ora ho pensato che lo avrei scelto io, ma a quanto pare così non sarà.

«Oh, quindi è già deciso cosa indosserò», mi limito a dire non volendo far trasparire il mio dispiacere.

«Sì, appena arriveremo lo vedrai», mi risponde lui ponendo così fine alla conversazione, che non accenna ad essere riaperta anche nel momento in cui facciamo il nostro ingresso nel negozio.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora