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La cosa che più amo della sala operatoria è che, quando ci entri, automaticamente si azzera il rumore tipico del reparto.

Il silenzio che ti avvolge è un toccasana per le orecchie, esposte giornalmente al chiacchiericcio delle persone di passaggio, ai macchinari che suonano a destra e manca o ai pazienti stessi che, per effetto dell'anestesia, impazziscono.

Oggi è uno di quei giorni fortunati in cui mi posso segregare qui dentro e non uscire finché il mio turno non termina. E come ciliegina sulla torta con me ci sarà mio marito.

È da un po' di tempo che non operiamo insieme, ma finalmente l'attesa è finita.

«Come ti senti, piccola?», mi domanda con un grande sorriso che, però, posso solo immaginare grazie ai suoi occhi espressivi, gli unici a non essere coperti dalla mascherina.

Amo quando mi chiama così. La felicità mi si diffonde in tutto il corpo a partire dal petto e mi fa letteralmente tremare le gambe.

«Un po' stanca», ammetto sincera mentre porto a termine il lavaggio delle mani dopo ben cinque minuti.

Non ho motivo di mentirgli sul mio stato fisico, se la verità lo fa sentire più tranquillo.

«Sei sicura di voler partecipare a un intervento del genere?», chiede finendo anche lui di lavarsi le mani.

«Sì, altrimenti non imparerò mai e non potrò diventare più brava di te», mormoro facendo ridere entrambi prima di prendere due asciugamani sterili, uno per lui e uno per me, ed entrare in sala.

Qui veniamo aiutati dagli infermieri a vestirci, indossando per ultimi i guanti e il caschetto con la luce per poter vedere meglio, ma non perdiamo ulteriore tempo e ci posizioniamo immediatamente ai lati del paziente, già sotto anestesia.

«Se vedi che non ce la fai più, lo dici, ok?», le sue parole, sussurrate perché solo io possa sentirle, mi fanno sorridere dietro il pezzo di tessuto non tessuto.

«Sì, stai tranquillo», mormoro dolcemente in risposta prima di essere raggiunti da altri componenti dell'équipe medica e iniziare ad operare.

Le mani di Nathan è come se danzassero su quel cuore fermo grazie alla circolazione extracorporea, che permette di mantenere in vita l'uomo sotto i ferri, cuore che conosce come le sue stesse tasche.

Il suo è un talento che tutti desidererebbero, me per prima, ma che in molti stentano a comprendere. Se solo sua madre lo vedesse in azione invece di criticarlo continuamente per questa sua scelta, sono sicura che cambierebbe idea all'istante. Non è nato per gestire l'azienda di famiglia, ma per salvare la vita alle persone perché quelle mani sono un vero e proprio dono.

A confronto, le mie sono ancora inesperte tant'è che a volte, mossa da una certa gelosia nei confronti di mio marito, mi ritrovo a pensare di aver sbagliato carriera, o perlomeno la specializzazione. Eppure, continua ad essere il mio più grande sogno.

Olivia, devi concentrarti. Il paziente non dipende solo da Nathan, ma anche da te.

Subito mi risveglio dai miei pensieri e, riportando l'attenzione all'intervento, seguo per filo e per segno quello che fa Nathan, oltre ad aiutarlo, fino alla fine dell'operazione.

Ignoro la fatica che si accumula man mano che il tempo passa, ma, non appena terminiamo, mi libero subito del camice sterile e dei guanti tutti insanguinati con una velocità che potrebbe fare invidia anche a un pilota della formula uno.

Dopo cinque ore passate in piedi la mia schiena ne risente parecchio e, infatti, non appena mi siedo sul lettino di una on-call room libera, il dolore si irradia in tutto il corpo costringendomi a coricarmi.

Legame di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora