Capitolo 6

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Enea mangia una brioche vuota che trova deliziosa vista la fame e intanto risponde a diversi messaggi arretrati. Continua la colazione con fette biscottate, marmellata, burro e una fetta di torta al cioccolato. Beve un succo di frutta all'arancia e le sue papille si retraggono inacidite. Prende in mano il telefono e inizia a controllare per la terza volta il tragitto. Soddisfatto, sale al piano di sopra e veloce si fionda in bagno. Inizia a lavarsi i denti con vigore e dopo poco entra un adolescente con due infossati occhi gonfi. Enea, chinato sul lavandino, sorride ripensando alle lamentele dei suoi compagni di stanza. Quella notte i ragazzi ci avevano dato dentro.

Enea sputa la saliva mista a dentifricio. Si sciacqua dalla bava bianca e rimette lo spazzolino nel beauty case rosa di sua madre. Si guarda un secondo allo specchio e non fa caso ai ciuffi ribelli e alla barba mai avuta così lunga. Nota invece una macchia di sugo della sera prima sulla maglia. Maglia che indossa per il terzo giorno consecutivo, comunque la più pulita di tutte. Torna in camera e sistema le ultime cose. Prende lo zaino e la borraccia. Infila il cellulare nella tasca destra dei jeans e controlla di avere tutto. Sussurra un saluto a chi è già sveglio, facce destinate a essere dimenticate. Ed esce dal buio della stanza.

Scende le scale, salda il conto, saluta la signora alla reception con un ampio sorriso e apre la porta. Davanti a lui il sole è sorto da appena mezz'ora. Respira l'aria fredda e inizia a camminare verso la città, lasciandosi il silenzio della periferia e la fede dell'ostello alle spalle.

Dopo quarantadue minuti, Enea è in fila. Davanti ha una coppia di coniugi che non parlano. Lui porta dei corti capelli bianchi e una lunga barba candida e ispida. Lei invece ha i capelli lunghi e biondi, ovviamente tinti vista la ricrescita. È truccata e sembra molto più giovane e pesante di lui. Entrambi sono pallidi e immobili. Entrambi hanno gli occhi azzurri e portano i pantaloncini corti mostrando le ginocchia molli. Entrambi osservano la strada, il cielo e le citazioni sui muri. Serve l'amore a rendermi ridicolo per te, dice una.

Lei di colpo si gira verso il marito e parlano per la prima volta dopo quasi mezz'ora di attesa. Sono tedeschi. Enea li osserva. Lui le risponde non si sa cosa e intanto sputacchia a quasi ogni parola. Enea sposta lo sguardo e si sofferma a guardare in fondo alla strada.

Fa qualche passo quando la fila finalmente decide di muoversi. In fondo a quella strada vede una comitiva di asiatici, gli uomini tengono quasi tutti in mano delle grosse macchine fotografiche mentre le donne ridono con le figlie. Queste ultime indossano minigonne e occhiali giganti.

Enea alza lo sguardo e rimane accecato dalla luce del sole. Immerso nella sua solitudine riesce solo a pensare. Riesce a pensare e a osservare. Finalmente manca poco.

Enea paga. Lascia lo zaino nell'armadietto dove ci sta a malapena e perde così i tedeschi che ha avuto davanti per quasi quaranta minuti. Da quando era partito, era il tempo massimo in cui aveva avuto vicino la stessa persona sveglia. Attraversa tutte le guardie ed entra in un lungo corridoio. Osserva a destra e sinistra indeciso. Opta per la sinistra cercando di farsi spazio fra la gente.

Enea cammina lento osservando il movimento e l'incisività che emanano la maggior parte delle statue, ma alcune invece sono lacunose, abortite perché ancora incomplete, quasi come se fossero ferme in un limbo, costrette a trasportare sulle spalle il peso di se stesse.

Enea si sofferma a guardarle, sono statue pronte per affacciarsi al mondo, ma che non hanno avuto l'affetto o la fortuna di farlo. Statue senza entità, perché senza totalità, in quanto nessuno nella storia gli ha donato un volto. E per un istante, pensa di star vedendo il riflesso di se stesso.

Riprende il cammino poiché il corridoio porta al perno, all'apoteosi, porta alla calcolata luce. Enea assapora così le curve, il riflesso del bianco pulito, la precisione, la compattezza, le linee e le angolature, i glutei sodi. Ogni ricciolo dei capelli così perfetti. Gli equilibri che emana quella cosa. I muscoli, le costole e le mani venose. Lo sguardo e la posa superba.

"Benvenuti alla Galleria dell'Accademia", dice una guida varcando l'entrata.

Enea non si distrae, osserva solo la perfezione siderale del raccolto di Michelangelo.

Enea legge la verità. "Dopo aver visto il David, qualsiasi altra statua apparirà modesta", scriveva il Vasari.

Enea entra in un bar appena uscito dalla galleria. Si avvicina al bancone e ordina un panino e una birra. La barista lo investe con il suo accento toscano e gli sorride. Lui ricambia e gli cade l'occhio sul grande seno di lei, a malapena ci sta in quella camicetta bianca.

Poi si volta e vede una famiglia asiatica mangiare con una compostezza che lui non avrà mai. Hanno preso tre cappuccini e da mangiare più di quanto in realtà consumeranno in tutto il giorno. La figlia avrà quindici anni, ha una pesante frangia nera e siede impettita senza toccare niente. Ha lo sguardo rivolto alla tavola e osserva il cibo con la bocca leggermente aperta. Lo guarda e basta.

Lì accanto invece siede una coppia di italiani. Lei sorseggia un caffè e lui mangia della carne magra. Lei ha la pelle scura rugosa e le unghie tinte di rosso. Lui è vestito da ufficio. Hanno con loro un piccolo cane che dorme, è un Cavalier King chiaramente stanco dalla mattinata di shopping dei padroni. Enea percepisce la devozione che il cane deve avere per i padroni e intravede il collarino rosa pieno di brillantini.

La barista lo distrae allungandogli il panino. Lui la saluta e si avvia all'uscita lanciando un'ultima occhiata a quelle grosse tette. Se le ricorderà per un paio di volte sotto la doccia. Enea si incammina così fra la gente e mangia il suo panino dirigendosi ai Giardini di Boboli.

Sono le cinque ed Enea si guarda attorno, poi riprende a camminare.

"Un biglietto per Reggio Emilia", dice alla cassiera.

Dopo aver pagato, si muove veloce tra la gente, troppa gente, e raggiunge il binario otto.

Fuma una sigaretta davanti al treno fermo. Sbatte lo zaino pesante ai suoi piedi e tira fuori un pacchetto di cracker. Ne sbriciola uno e lo dà ai due piccioni che ha davanti. Molte persone passano per salire sul treno. Molte vanno addosso ai due amici pennuti, non curanti, ma loro saltano veloci. Che abitudinari, pensa Enea. Intanto ne osserva altri lontani danzare con il collo.

Immagina che storie d'amore ci siano dietro a quei becchi acciaccati. Dopo poco arrivano altri elemosinatori. Uno di questi è monco. Enea decide che è una femmina e intanto guarda la gente. Gente che guarda solo davanti a sé. Gente che non sa nemmeno cos'è un naso, tanto che non usano gli occhi. Adesso arriva un piccione senza un occhio ed Enea si abbassa per osservarlo meglio.

"Lo so, la vita fa schifo a volte", gli sussurra pensando a se stesso in realtà. Poi va a buttare la sigaretta, inseguito dai suoi nuovi amici affamati. Torna indietro sussurrando un saluto ai piccioni e sale sul treno. Da lì in poi, ovviamente, le loro vite non si rincontreranno mai più.

Durante il viaggio Enea si addormenta, beve, mangia, evita di andare in bagno e si guarda attorno. Poi prende in mano il cellulare.

"Ciao mamma. Devo fare il cambio a Bologna, devo poi aspettare la coincidenza. Arriverò fra due ore."

"Tutto ok?", le chiede sua madre.

"Sì", risponde. "Non ho mal di gola", aggiunge.

"Mi raccomando fai attenzione."

"Ciao mamma."

Enea mette via il telefono e guarda il proprio riflesso sul finestrino. Si infila le grosse cuffie canticchiando già il ritornello della canzone che va. "...Il nord sta al sud come l'orologio sta al tempo. C'è l'est, c'è l'ovest e c'è vita ovunque. Io so che sono nato e so che morirò. Tutto ciò che sta nel mezzo è mio. Io sono mio...", cantano i Pearl Jam, mentre lui chiude gli occhi.

Così Enea saluta la settimana trascorsa tra Siena, Pisa e Firenze. Una settimana in viaggio, solo. La settimana del suo venticinquesimo compleanno. Il suo regalo. La sua settimana. Il suo ritiro.


Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora