Capitolo 12

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Giorno in canile numero 292.

La nebbia è invalicabile. Un alone bianco che fa venire male agli occhi. Fisso le strisce dell'asfalto per capire come tenere il volante. Peccato che la loro visibilità è limitata a pochi metri dalla mia macchina che procede.

Vado ai cinquanta all'ora sapendo che è fin troppo veloce visto il muro che ho davanti. È da qualche giorno che la nebbia non molla. Mi sveglio ed è lì. Vado a letto ed è lì. È sempre lì. Non va via. Non risparmia neanche un giorno, neanche un'ora della giornata.

In fondo è il tipico clima della pianura emiliana, ci si abitua. Tuttavia, regolarmente, per tutte le prime nebbie della stagione, mi chiedo come farò a sopportare il bianco, come farò a sopportare l'odore. Entrerò in macchina e guiderò con gli occhi concentrati e strizzati, rigido come una marionetta e respirerò l'odore della mia sciarpa umida, ormai assuefatto. Come faccio tutti gli anni in fin dei conti.

Scendo dall'auto e Corinna, mi corre subito incontro. Ethan, il similbassotto, è morto mi dice. Mi faccio spiegare tutta la storia, ma già dopo la seconda parola capisco. Una morte inspiegabile.

Le morti inspiegabile sono quei cani che fino al giorno prima non sembravano avere nulla e che poi li trovi nel box morti. Vedo negli occhi di Corinna l'incredulità e forse nei miei cerca qualche possibile ipotesi. In realtà, non so cosa dire e quindi taccio.

Tutti i volontari che sono lì con me ripensano alle precedenti volte che l'hanno visto, portato fuori a passeggio o coccolato. Nessuno trova delle spiegazioni plausibili. Poi, dopo circa cinque minuti di dibattito, mi sento di dire qualcosa. Le parole mi escono in automatico, forse troppo secche.

"Nessuno di noi poteva saperlo. Infatti, i cani non parlano, i cani cercano di farci capire le cose, ma finché li si vede solo sporadicamente, un loro starnuto può essere un semplice respiro venuto male come un principio di polmonite."

Aggiungo che i soldi per fare un'autopsia non ci sono e quindi l'unica cosa che possiamo fare è stare più attenti con chi è ancora nel box. Al freddo. Vivo.

Tutti mi guardano seri. Mi rendo conto di aver fatto il duro della situazione. In realtà la tristezza mi pervade, lui non c'è più. La sua carta l'ha già giocata, non avrà altre possibilità. Noi non avremo altre possibilità con lui, rimarrà solo il fallimento. Ethan non ha vissuto neanche la metà della sua ipotetica vita.

Con questi pensieri discosto lo sguardo dagli altri che mi fissano e lì per lì anche io penso all'ultima volta che l'ho visto, che cosa aveva cercato di comunicarmi. Mi ricordo solo che era un gran coccolone, per niente timido e ottimo per tenere compagnia a una nonna, che secondo giustizia doveva avere una speranza di vita inferiore della sua.

Poi abbasso lo sguardo e inizio ad avviarmi verso i box confusi nel bianco, non ponendo attenzione a Corinna che mi dà ragione. Per primo vado nel box che ospitava Ethan per controllare quelli che erano i suoi coinquilini.

Sono due cani piccoli, maschi. Sono Jb e Dalì. Non mi sembrano traumatizzati e nemmeno malati. Spero con tutto me stesso che la morte di Ethan non sia nulla di infettivo, magari solo una cardiopatia congenita. Entro nel box per stare con i due compagni di cella e lì il mio cervello si azzera.

Le morti inspiegabili non sono come la nebbia, a quelle non ci si abitua proprio. Non ci si abitua mai alla vulnerabilità. Non ci si abitua mai alla mancanza di controllo. Non ci si abitua mai al tradimento improvviso della nostra ragion veduta tipicamente umana. Non ci si abitua mai alla fine che prenderà anche noi. Tuttavia, sono solo amare circostanze.

Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora