Capitolo 23

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Paura  di un attacco numero 98.

Stosognando mille scene colorate, miriadi di colori caldi e freddi. Vedo sprazzi di luci pallide, vedo impronte nell'erba e intravedo volti dai contorni alieni. Non capisco cosa sto sognando, è tutto troppo confuso, ma ho ben impressa quella condizione, brevissima, che sta arrivando.

La fase in cui senti che quelle luci che ti balenano lì davanti non sono solo frutto del tuo sonno, ma sono un qualcosa di più tuo, di più intimo, di orrendamente famigliare.

E sono lì, ancora stretta e vittima della caduta nell'inconsapevolezza di me stessa. Tra poco non sarò più nel cosmo solo mio, abbandonerò la mia galassia per tornare nella Via Lattea.

Sto rinvenendo, sono a metà strada. Non sono ancora padrona di me stessa, ma solo immersa in me stessa. Tuttavia, l'ansia è già nata, la paura è già germogliata. La paura di capire, la paura di vedere o meglio di non vedere.

Spalanco gli occhi concentrandomi su ciò che mi si proietterà davanti e le luci sono lì. In mezzo al buio più nero della mia camera mi sembra di vedere forme luminose. Tutto questo per me è il mio risveglio cosciente. Ciononostante, immediatamente mi rendo conto che non capisco, non comprendo se Anita mi è venuta a trovare o è rimasta dentro la fontana di Trevi.

Cerco con la mano il cellulare, non lo trovo e allora butto giù tutto ciò che c'è sul comodino. Fregandomene. Il mio tatto lo trova per terra e schiaccio il tasto. Un fascio luminoso parte e mi acceca, fisso le scritte con gli occhi socchiusi e con il batticuore, perché il momento della verità è arrivato.

Riesco a leggere l'orario, sono le cinque e due minuti. Un orario che per me è fin troppo intuibile, ripetitivo nel mio risveglio cosciente. Subito non mi capacito, le luci mi sembravano così reali, ma forse Anita è rimasta a farsi il bagno.

Mi tocco le tempie rincretinita e mi rendo conto che il sonno è volato via. L'adrenalina è micidiale.

Mi alzo nel buio, vado ad accendere la luce orientandomi grazie alla memoria geografica e controllo meglio la mia vista. Tutto è foschia del risveglio e basta.

Mi risiedo sul letto massaggiandomi gli occhi che ancora non si sono abitati alla luce e penso nuovamente all'invidia che provo per chi non sa nemmeno chi è Anita, per chi non sa quanto è stronza.

Afferro velocemente una sigaretta, fisso il tabacco davanti al mio naso che si incendia e con un sospiro accetto finalmente la mia limitataf ortuna, adesso ci vedo e sono sola.

Aspiro il tabacco avidamente anche se il fumo è come una mazzata per i miei polmoni ancora assopiti e per la mia lingua asciutta.

In poco tempo sono già a metà sigaretta e intanto mi guardo le gambe nude che sentono la mancanza delle coperte. Quanto adoro la vista della pelle d'oca. Infatti, prendo la mia macchina fotografica e immortalo con una fotografia macro i miei follicoli piliferi in rilievo, i peli dritti e altezzosi. Quanti significati in queste reazioni.

Rimango immobile a contemplare il nulla per un po'.

Mi sento finalmente pronta per ritornare nel mio rifugio caldo perché ho voglia di dormire. Ma un viscere si contorce nel mio addome emettendo un brutto rumore sordo. Quindi di scatto mi alzo, abbandonando la sigaretta nel portacenere e immagino già il water.

L'adrenalina è micidiale.

Ma cara Anita non pensare di avermi fatto un favore, io ti maledico nella tua subdola pozza d'acqua, anche se è fatta di liquido cerebrale, il mio liquido.

Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora