Capitolo 9

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Andrea è distesa sul letto, a pancia in su, con le braccia ai lati e le gambe incrociate. Per diversi minuti rimane così, immobile, sembra trapassata. Poi sbatte gli occhi e gira la testa.

Guarda Edoardo dormire. L'ha messo a letto lei, l'ha svestito, gli ha lavato la faccia dal sudore e l'ha coperto. Come tante altre volte, come tutte le volte che sono andati a ballare o a dei concerti. Lui brillo o ubriaco. Lei controllata, pronta per lui.

Un tempo Andrea trovava tutto questo divertente. Trovava lui divertente, perché Edoardo è una persona spensierata di indole, a volte difficile da gestire e per questo più intrigante.

Quante volte si era addormentata guardandolo, accarezzandolo, con il pensiero che l'indomani la prima cosa che avrebbe fatto, dopo aprire gli occhi, sarebbe stata dargli un bacio fregandosene di non essersi ancora lavata i denti. Ora invece il soffitto è più interessante. Un liquido in cui colare a picco.

Andrea guarda ancora Edoardo, le sembra un involucro che non riconosce più. Così si alza di scatto e va a prendere dell'acqua in cucina per evitare di annegare in lacrime.

Beve veloce, cerca di calmarsi e proprio mentre l'acqua fredda le attraversa l'esofago, le balena una consapevolezza dentro. Le persone cambiano. I rapporti cambiano e alcuni di questi non riescono a stare al passo con le persone stesse. Capita che uno cammina mentre l'altro rimane fermo a guardare per terra e non ci si riconosce più una volta che si è troppo distanti. La salute di un amore in fin dei conti dipende dal saper governare le derive.

Andrea torna a letto. Si ripromette di fingere tranquillità anche l'indomani, perché riesce solo a temporeggiare e spegne la luce. Finalmente la stanchezza è giunta, chiude così gli occhi, si sta per abbandonare al sonno e il suo ultimo pensiero è per se stessa. Devo smetterla di fare cose che non mi va di fare, pensa.

Passa una settimana. Una settimana di routine, di noia e di mestruazioni per Andrea. Una settimana di pochi messaggi e zero chiamate con Edoardo che non tornerà per l'ennesimo weekend. L'unica cosa che la rassicura sembra essere l'antiepilettico. Infatti, nessun attacco di emicrania l'ha colta.

Sono le sette di venerdì sera. Andrea ha finito di lavorare in anticipo e una volta a casa si butta sul divano. La televisione è dominata da trasmissioni di cucina, cronaca nera e repliche di talent show. Andrea sbuffa, e dopo diversi minuti la sua attenzione viene catturata da un canale che non aveva mai notato. Un canale di nicchia. Un canale che parla di cose ormai dimenticate a cui nessuno frega qualcosa.

Di scatto si alza. Ignora sua madre seduta in cucina che si fissa le mani e scende nello scantinato. Inizia così a cercare tra gli scatoloni. Ci impiega quasi quaranta minuti, ma la vittoria arriva. Tra le mani si ritrova molta polvere e quello che bramava, la Polaroid Image Syestem datata 1986.

Andrea sorride ricordandosi delle gite domenicali con i suoi genitori. Quando sua madre si portava la Polaroid sempre appresso. In particolare, ricorda Ginevra con la gonna lunga color cammello e la camicia in jeans mentre cammina per una strada di campagna, sorridente. Dopo un'ora era scoppiato un temporale. Andrea ricorda tanta grandine, ma soprattutto ricorda due foto.

Subito riprende a cercare nello scatolone e le trova. Due pellicole abbandonate in mezzo a tante altre. Due foto consumate di lei e sua madre. Andrea aveva nove anni, era felice e vedeva Ginevra come la persona più indispensabile della sua esistenza. Le sembra quasi impossibile aver provato quei sentimenti per davvero.

Torna al piano di sopra. Accende immediatamente il computer per cercare su internet le pellicole adatte. Non sa se la Polaroid funziona ancora, ma si domanda solamente come ha fatto a non ricordarsene prima. Cerca le pellicole e le trova. Le ordina subito anche se sono costose come pensava, ma se ne frega. Andrea quasi euforica controlla la casella di posta per verificare l'ordine.

E in un secondo, gli occhi le diventano due fessure.

"Ciao Andre,

volevo chiamarti per spiegarti, ma alla fine sono un vigliacco e quindi ti scrivo. Ti scrivo perché non ce la faccio più. Non so se mi perdonerai. Io spero quasi che, dopo aver letto questa email, prenderai la macchina e verrai qui da me, all'istante. Ma in ogni caso io ne ho bisogno. Ho bisogno di dirti.

Da quando sono partito per Milano le cose sono diventate complicate. La mia mancanza fisica e morale ha reso tutto difficile. Anzi, mi rendo conto che posso essere stato io l'artefice di tutto.

Ti ho pensata tanto. Notti intere. Mi sei mancata tanto. Mi manchi ancora, ma mi sembra ovvio che ultimamente le cose sono diventate insopportabili per me e, forse, per te di più.

Andrea ti conosco da sette anni. Stiamo insieme da cinque e tu non sei in grado di dare calci nel culo. Tu ti chiudi, rimugini e speri. Ma la tua freddezza mi sta facendo male. Il tuo distacco mi ha offeso. Cazzo, avrei preferito sentire tutta la tua rabbia, il tuo odio per la mia partenza. Perché lo so, io sono partito e basta, e tu ti sei dovuta adeguare. Ma la mia codardia insieme ai miei impegni e alla tua mancanza di sincerità hanno fatto sì che non comunicassimo più.

Perché non sei mai venuta una volta a Milano da me? Avevi detto che saresti venuta.

All'inizio avevo la volontà di chiederti. Cercavo di capirti, ma tu non rispondevi. Eri un muro. Sei un muro dove ho sbattuto la testa troppe volte. Infatti, ora mi trovo qui a scriverti una cazzo di e-mail di merda con le lacrime agli occhi e tutto ciò per cosa? Perché non riusciamo a comunicare. Dopo cinque anni! Non è normale, non è giusto.

E devo confessarti il mio danno.

Ieri sera sono stato a una festa di compleanno. Ho bevuto più del solito. Una ragazza si è avvicinata. Abbiamo fumato insieme. Aveva le lentiggini. Mi ha ricordato te e così mi sono lasciato andare senza riflettere.

Sto piangendo adesso, credimi, perché non meriti quello che ho fatto.

Sono una merda e ti chiedo immensamente perdono. I sensi di colpa mi divorano più che mai. Ho fatto una cazzata, ma anche se non è assolutamente una giustificazione, ti ripeto che la tua indifferenza mi ha ucciso! E forse io ucciderò te adesso, non lo so nemmeno a dir la verità.

Edo."

Quella sera, anche se è venerdì, Andrea non uscirà con i suoi amici. Fingerà di avere mal di pancia, mentendo pure alle sue amiche. Edoardo la conosce bene e con quella verità in tasca, Andrea verserà lacrime che erano pronte già da tempo.

"...Sei così fottutamente speciale. Io spero di essere stato speciale. Ma sono un brivido. Sono uno strambo. Cosa diavolo ci faccio qui? Non appartengo qui...", cantano i Radiohead alla radio, mentre Andrea si fa la doccia con le mani sugli occhi per tutto il tempo. Il buio le sembra l'unico sollievo.


Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora