Capitolo 28

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"Ginevra dovrei parlarti."

Andrea si muove lentamente prima di sedersi sul divano poco distante. "Ho già parlato con papà, quindi è il tuo turno", aggiunge.

"Che succede?", le domanda Ginevra spegnendo la televisione.

"Ho deciso di fare un viaggio. Parto il primo di aprile", confessa. "È già tutto prenotato", precisa subito per frenare una eventuale disapprovazione.

"E dove andrai?"

"In Madagascar. Per un mese."

Ginevra rimane fissa a guardarla per diversi secondi. "Parti con il tuo nuovo ragazzo?"

Andrea scrolla la testa. "No, vado con un gruppo che organizza viaggi per fotografi e appassionati."

Ginevra discosta lo sguardo verso il vuoto. "Tuo padre cosa ha detto?"

"Ha detto che se è quello che voglio fare, devo farlo. Economicamente ce la faccio, dovrò tirare la cinghia quando ritorno per diversi mesi, ma va bene così", e Andrea inizia a mangiucchiarsi un'unghia pronta alla negatività di sua madre.

Ginevra invece le sorride. "Anche a me sembra una buona idea. Hai lavorato tanto. Cosa ti ha detto Achille?"

"Che va bene. Inoltre, l'anno scorso ho accumulato molte ore di ferie. Se la caverà benissimo anche senza di me", le risponde subito sulla difensiva.

Ginevra annuisce. "Anche a me piaceva viaggiare."

Andrea al suono di quelle parole solleva gli occhi al cielo. "Puoi ancora farlo Ginevra."

Sua madre abbassa lo sguardo per fissarsi le mani che strofina nervosamente sulle sue ginocchia. "Magari un giorno", le risponde. "Sai, ho ringraziato tante volte tuo padre per essermi stata vicina nei miei momenti più bui e per farlo ancora, mentre non ho mai ringraziato te", aggiunge senza alzare lo sguardo.

"Mamma", riesce solo a dire Andrea. Non sa cos'altro dire nonostante le emozioni controverse che prova e che riesce a riversare solo in un sorriso tirato e imbarazzato.

"La consapevolezza della malattia ti annienta", e per un attimo Ginevra ripensa a quando il dottore le aveva detto che era malata di depressione reattiva. Una risposta emotiva sproporzionata a un evento vissuto, ecco come l'avevano descritta senza alcun ritegno, perché probabilmente era anche la definizione tecnica corretta ma era una definizione che l'aveva fatta sentire giudicata in una delle parti più intime che una persona possiede, la reazione al dolore e ai sensi di colpa. "Più il tempo passa, più questa disperazione potrebbe non essere percepita come legata al lutto non elaborato, anche se è stato quell'aborto stesso a innescarla", aveva aggiunto lo psichiatra mentre firmava la sua prima ricetta. Una sentenza. E questa cosa aveva fatto sentire Ginevra inutile e dissociata dai momenti di felicità che aveva provato in passato, come se la sua vita precedente fosse stata una finzione. Come se fosse nata per essere solo una depressa. Questa cosa non gli era mai più uscita dalla testa.

Ginevra immagina per l'ennesima volta il fratello o la sorella che Andrea non avrà mai. E sta quasi per dirle tutto, proprio in quel momento, dopo quasi nove anni come se fosse una giustificazione, ma non ci riesce perché è convinta che il dolore chiama altro dolore. E si arrende al fatto che la vita è fatta anche di cose non dette. "Lo so che ti sei arrabbiata tanto, che hai fatto fatica ad adeguarti. Ma ti ringrazio perché senza di te e tuo padre non so se c'è l'avrei fatta."

Andrea è immobile, solo una volta sua madre le aveva parlato così apertamente della sua depressione ed erano ormai passati anni. Inoltre, non si capacita di come può averla aiutata considerando che si era chiusa in un silenzio freddo e pietrifico. "Io non ho fatto niente", ammette.

Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora