Capitolo 20

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È giovedì pomeriggio e Andrea è seduta sul letto a contemplare l'armadio.

Emma dice che si deve vestire bene, ma poco appariscente. "Bisogna essere fighe facendosi scoprire piano piano", le aveva detto.

Nicole invece aveva ribattuto dicendo che al primo appuntamento bisogna fare colpo, altrimenti non può esistere un secondo appuntamento.

Andrea ci pensa ancora per alcuni minuti e decide di ascoltare Giuditta. "Tu vorresti che si presentasse per quello che non è? Non credo ed è probabile che lui pensi la stessa cosa", le aveva scritto quello stesso pomeriggio.

Andrea afferra un paio di jeans, un maglione, stivali e l'eskimo. Esce di casa correndo, perché come al solito è in ritardo. Dentro l'auto controlla per l'ultima volta il percorso sul telefono. Con un profondo respiro gira la chiave e accende la radio godendosi l'agitazione che si fa strada in lei. E va.

Enea è seduto su una panchina. Guarda l'orologio e in lui inizia a insinuarsi il dubbio. Se non venisse?, si domanda. Decide di allontanare quel pensiero tragico accendendosi una sigaretta.

Dopo poco, gli passa davanti un bambino in bicicletta, sorride fissando la strada che scorre inevitabilmente sotto le sue ruote. Enea sorride a sua volta, non immagina il motivo della felicità di quel ragazzetto, ma si sente contento per lui e inizia a invidiare la sua giovinezza, la sua innocenza. E mentre guarda la bicicletta allontanarsi, sullo sfondo intravede qualcuno scendere da un auto.

Lei si guarda attorno raccogliendosi i capelli in una coda di cavallo. Poi lo vede e si avvia verso di lui con un luminoso sorriso in volto. Enea si alza di scatto abbandonando la sigaretta a terra.

"Scusa il ritardo", dice Andrea timidamente.

"Perdonata. Sei mai stata qui?", Enea è pieno di adrenalina.

Lei lo guarda dall'alto al basso cercando di non farlo notare. Porta una giacca nera, una felpa e un paio di jeans. Aveva ragione Giuditta. "A dir la verità non conosco bene Reggio Emilia", confessa.

"Ok", risponde lui perdendosi in quegli occhi azzurri che non vedeva l'ora di rivedere. "Faccio strada io", aggiunge iniziando a camminare.

"Ti seguo solo perché hai promesso che non sei uno psicopatico."

Enea si volta e le fa l'occhiolino. "Fidati", e insieme si incamminano in mezzo agli alberi spogli del Parco del Popolo.

"Parlami di te", dice Enea dopo qualche minuto di respiri imbarazzanti.

Andrea si schiarisce la voce e si strizza la coda con un gesto nervoso. "Non sono brava con le domande aperte."

"Ok", sussurra lui. "Parlami della tua famiglia", ed Enea si volta per guardarla. "Se ti va ovviamente", aggiunge.

Andrea è titubante su cosa rispondere. Dovrebbe essere una domanda facile e invece per lei non è così. Si guarda attorno tesa. Perché non ho risposto subito parlando di stronzate, pensa sospirando. "Adoro mio padre, mentre con mia madre non è facile", risponde secca. Non è mai stata brava a mentire. È brava invece a stare in silenzio tenendosi le tormente dentro.

Enea si fa subito attento. "In che senso?"

Andrea alza lo sguardo in alto, fissando gli alberi. Tante volte aveva risposto a questo tipo di domande solo nella sua testa quando gliele avevano fatte, quanti monologhi muti, fino a che la maggior parte della persone avevano smesso di chiedere.

Ma questa volta, istintivamente decide di rispondere. A voce alta. Probabilmente perché non sente più il bisogno che qualcuno smetta di farle domande. "Mia madre, era una persona molto dinamica. Lavorava in radio e faceva un sacco di cose. Ma quando avevo quindici anni, da un giorno all'altro, o perlomeno così mi è sembrato, lei che mi portava dovunque, si è chiusa. Ha smesso di andare a lavorare. Ha smesso di andare a far la spesa, di andare a correre. Ha smesso di cucinare, di mangiare, di parlare. Ha praticamente smesso di fare tutto. Ho pensato che fosse colpa mia."

Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora