Capitolo 16

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Enea fa finta di ascoltare il professore mentre disegna un elaborato robot sul libro di scienze. 

Al suono della campanella della ricreazione prende in mano le stampelle e si incammina verso il bagno.

Finito di fare pipì, appoggia le stampelle al muro per lavarsi le mani. In equilibrio davanti allo specchio osserva la propria immagine per diversi secondi. 

Non ha più gli occhi di un qualunque tredicenne, ma piuttosto sembrano quelli di un drogato. Sono infossati, stanchi. Per un attimo si guarda anche la testa, ma i capelli sono così lunghi che potrebbero coprire qualsiasi cosa.

Sospira e per sbaglio appoggia il piede destro a terra. Sente una potente fitta e con una smorfia riprende subito in mano le stampelle, evitando così di lavarsi le mani.

Esce dal bagno a testa bassa, pronto per tornare in classe.

"Ehi storpio, come va?", chiede un ragazzino ridendo di due anni più piccolo.

Enea lo ignora e prosegue lentamente.

"Deve essere dura camminare senza stampelle", continua il ragazzino e seguito da due suoi amici gli strappa una stampella da dietro.

"Lasciatelo in pace!", esclama Angelica correndo verso di loro.

Enea si appoggia al muro per non cadere e osserva la scena.

Angelica fa per riprendere la stampella, ma viene spintonata. Cade a terra.

"Si può sapere cosa ci trovate di divertente?", chiede lei imbarazzata.

I ragazzini scoppiano a ridere e iniziano a usare la stampella come se fosse una spada laser verso di lei.

Enea sente la rabbia gonfia dentro il petto. Una rabbia ormai conosciuta.

Angelica si rimette in piedi. "Siete degli stronzi", dice strofinandosi i jeans. "Vado a chiamare il professore", aggiunge.

I ragazzini emettono dei versi di finta paura e in quel preciso momento, Enea si stacca dal muro, appoggia il piede ingessato a terra ignorando il dolore e con la stampella che gli è rimasta in mano colpisce tutti e tre in faccia, con tutta la potenza possibile per le sue braccia magre. Infierisce su uno a caso colpendolo altre due volte.

Angelica emette un urlo mentre Enea paonazzo li guarda a terra serio. Uno sanguina dall'occhio e dalla bocca, gli altri due piangono tenendosi il naso.

"La morte di suo padre l'ha reso pazzo", dice una voce tra la folla che si è ormai radunata attorno.

"Dicono che sia morto per colpa sua. Deve essere dura vivere con i sensi di colpa", dice un'altra.

"Hanno detto che è stato un incidente", dice un'altra ancora.

"Mia madre ha detto che ha avuto anche un trauma cranico. Forse è impazzito per questo", sussurra l'ennesima.

Enea le sente tutte quelle voci e vorrebbe urlare tutto il suo dolore, tutta la sua rabbia e tutta la sua verità, invece non lo fa. Raccoglie da terra la stampella. "Grazie", sussurra ad Angelica. Lei lo guarda senza emettere un suono e da solo si incammina verso l'ufficio del preside.

Dopo neanche mezz'ora, Enea sale in macchina di sua madre sentendo un gran dolore nel petto. Tanto che deciderà di prendere il doppio dei tranquillanti che gli prescriverà il dottore quel pomeriggio stesso. Alla notte gli dovranno fare una lavanda gastrica in ospedale.

Enea abbandona il ricordo senza provare nulla e si gratta leggermente il tatuaggio che ha sulla clavicola. Continua poi a disegnare. Dopo quasi un'ora alza il foglio per scrutarlo. Deciso lo appende con un pezzo di scotch al muro. Si allontana e lo guarda. Lo riconosce finalmente. È proprio lui, suo padre. Sorride.

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Giorno in canile numero 301.

Birillo è andato a casa. Dire che sono felice non è solo riduttivo, è imperfetto.

Birillo è un piccolo essere. Un piccolo cane razza fantasia. Tutto bianco. Completamente bianco, candido, latteo, marmoreo. Dieci anni ha nelle sue ossa e nei suoi occhi. 

È arrivato in canile non so nemmeno quando. Io non c'ero. So solo che una volta arrivato si è chiuso. Il cemento del box sembrava essere la sua lapide. Nessuno riusciva ad approcciarsi. Nessuno riusciva a guadagnare la sua fiducia ancora offesa. Ma i rinforzi positivi sono stati fondamentali perché in un giorno di aprile, Birillo si è mosso. Birillo ha deciso d muoversi.

Quel giorno è uscito dal box, è uscito per respirare e camminare. Camminare su un suolo che non fosse di cemento. Camminare per provare emozioni. Annusare l'erba per attivare i suoi duecentoventi milioni di recettori olfattivi.

Mi immagino i milioni di neurotrasmettitori che vagano tra le sue sinapsi. Una esplosione di vescicole eccitate. Una esplosione di colori per tutto il cervello. Una esplosione di informazioni che hanno aperto il suo mondo.

Da quel giorno è passato più di un anno. Ecco perché la parola felicità è riduttiva, perché Birillo è una conquista. E oggi, Birillo è rinato per la seconda volta. Una famiglia ha deciso di portarlo in una casa. Senza pregiudizi per la sua età, per la sua storia, per le sue reazioni, per tutti quei segni lasciati da anni di canile che una vita da amato non avrebbero lasciato.

Adesso Birillo è in una casa calda, profumata, morbida, asciutta e silenziosa. Ecco perché la parola felicità è limitata, perché Birillo non ha solo camminato sull'erba, ha camminato per andarsene.



Quando il cuore franaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora