Giorno in canile numero 317.
Eccomi qui. Fermo, immobile con lo sguardo fisso. Sto riflettendo sul da farsi. Il tempo è poco, ma me ne frego. Penso se fosse l'inverso. Io chiuso dentro a una gabbia segnato dal passato, anche se in realtà quel suo passato non lo conoscerò mai.
Entro nel box lentamente, con lo sguardo basso. Sollevo gli occhi giusto il tempo per vedere se è già svanita e invece la vedo lì, immobile. Decido di immobilizzarmi anche io. Ci guardiamo per altri pochi secondi. Infatti, non voglio avere uno sguardo fisso e potenzialmente intimidatorio.
Appena faccio per chinarmi, lei fa un passo indietro, sempre attenta a qualsiasi mio gesto. Poi un altro, e poi un altro passo ancora. Finché inizia pure a tremare. La sua postura è la metafora dello schifo che ci sta nel mondo. Tia ha un paura immensa, nonostante le mie continue offerte di pace a base di carne stagionata e belle parole.
La vedo poi rifugiarsi veloce dentro la sua grossa cuccia dove ci sta ugualmente a malapena e allora aspetto qualche minuto. Poi mi alzo e lentamente mi avvicino. Faccio per tranquillizzarla e invece, più parlo, più trema.
Mi guarda con i suoi occhi invecchiati e io mi ci fisso dentro, forse per troppo tempo perché Tia infila il muso di lato, dentro la cuccia. Non vuole nemmeno vedermi. Sembra che mi preghi di andarmene via. Lei, con una dentatura ancora perfetta e almeno ottanta centimetri di altezza al garrese, è disposta a sottomettersi. Sembra che per lei la mia presenza sia un incubo. Lì per lì mi faccio quasi schifo per quanto la stia forzando.
Decido quindi di girarmi a mia volta, ma contemporaneamente le offro un pezzo di salame. Lei sente l'odore, si rigira verso di me, annusa meglio l'aria alzando il naso, ma non c'è niente da fare, inizia a tremare più di prima. Forse mi sono avvicinato troppo con la mano. Appena riapro bocca per rassicurarla, nasconde di nuovo il muso. Per lei è davvero difficile. Qualsiasi mio gesto è troppo.
Mi rialzo piano e il mio ginocchio scricchiola. Intravedo con la coda dell'occhio che il muso è riemerso, ma faccio finta di nulla ed esco dal box.
Appena fuori, mi giro e la vedo di nuovo lì, in piedi, fuori dalla cuccia che mi guarda, finalmente senza tremare perché il metallo ci separa. Io le sorrido in automatico. Ci guardiamo per più tempo rispetto a prima essendo ormai lontani, divisi fisicamente.
Poi sento Corinna che mi chiama. La saluto e camminando penso che forse Tia vede il canile come il posto migliore che le potesse capitare. Chiusa in un box, senza più contatto umano. Chiusa in una scatola con solo i buchi del grigliato per vedere fuori.
Per vedere che nessun umano si avvicini troppo. Un grigliato che per lei è protezione perché le ritaglia uno spazio che ha memorizzato come sicuro, anche se limitato. Uno spazio che per chiunque altro è solo una gabbia. Una gabbia che qualsiasi essere vivente odierebbe. Devono averla devastata dentro, probabilmente già timida di indole.
Stringo forte i denti mentre entro in un altro box. Un box che ospita tre cani da caccia che invece bramano affetto, contatto e libertà più di qualsiasi altra cosa e io ovviamente faccio del mio meglio.
Alle sei anche questa giornata in canile è finita e mentre guido, rifletto. Penso di provare tanto odio. Accelero per superare un trattore e intanto mi sembra di sentirla, in mezzo a quelle mille voci, mentre mangia il suo pezzo di salame.
Scusa Tia se alcune persone fanno così schifo. Per quel poco che vale, per me meriterebbero solo di morire. A presto.
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Quando il cuore frana
RomanceAndrea Giulia ha ventitrè anni, lavora in un negozio di fotografia, ha uno storico fidanzato e tre amiche con cui è cresciuta. Tuttavia, si trova in un momento della sua vita dove fatica a sentirsi felice, realizzata. E' in stallo e non riesce a far...