C'era stato un tempo in cui anche lui aveva calpestato quei corridoi, calzando le scarpe dell'uniforme, quelle uguali alle altre e che stavano sempre scomode. Ma le portava lo stesso, perché era così che si doveva fare, e il padre di Tighnari aveva imparato che lamentarsi non serviva a niente. Mai.
Fra l'altro, l'uniforme non era proprio il massimo per lui. Non aveva uno spazio per far passare la coda; l'aveva dovuta far personalizzare a sue spese, e aveva fatto lo stesso per Tighnari, anni dopo, senza neppure chiederglielo prima, convinto di fargli un favore. E suo figlio invece se l'era presa, perché avrebbe voluto venire consultato, nonostante non fosse possibile indossarla altrimenti. E le orecchie? Il cappello era stato creato per chi le avesse umane, piccole e ai lati della testa. Lui aveva fatto del suo meglio per tenerselo, quel copricapo fastidioso, ma scivolava di continuo. Tighnari si era dimostrato capace di incastrarlo diversamente, cucendo un piccolo elastico che rimaneva invisibile fra i capelli, all'inizio, e poi si era abituato a posarlo sulle orecchie basse e via.
Tighnari era anche più minuto, da sempre. L'uniforme già usata non gli stava bene, ne avevano dovuto comprare un'altra, più simile a quella della madre, che in fondo gli sarebbe entrata senza alcun problema; però, il padre si era rifiutato di dare al figlio un'uniforme femminile. Certo, era vero che quel ragazzo aveva tutta l'aria di aver preso dalla madre anche le forme del corpo, ma era pur sempre un maschio. E come tale andava trattato.
Perché un giorno avrebbe dovuto portare avanti il loro nome, la loro specie. Il padre di Tighnari non avrebbe saputo spiegarne il motivo; c'era bisogno di chiederselo? Cosa ne poteva sapere? Erano gli ultimi. E gli ultimi fanno questo: portano avanti quel che resta. Che altro dovrebbero fare?
"Sono io."
Riconosce la voce. Apre subito la porta, anche se poi se ne pente. Avrebbe dovuto prendersi un momento per riflettere.
"Tighnari?"
Suo figlio è lì, con le mani sui fianchi, e sembra furioso. Ha quegli occhi grandi e tondi, quel viso così dolce, e sì, lui sa quanto siano simili, ma lo sguardo non è il suo; è della madre. Lo sguardo è della donna che ormai non esiste più, e che gli ha permesso di realizzarsi.
Gli manca. Fa male, guardarlo. Ogni singola volta.
"Mi sembra di capire che tu volessi parlarmi" dice Tighnari.
La voce. Così alta. Che vergogna. Perché, perché quel suo figlio è così? Perché ogni sua cellula lo disturba? Eppure basterebbe amarlo; basterebbe avvicinarsi e riconoscerlo. Basterebbe dirgli: ti vedo. Ti accetto.
Ma non sarebbe vero. Giusto?
"Sì. In effetti è così."
Gli fa cenno di entrare. Tighnari esita per un istante, come se andar lì non presupponesse un ingresso in casa, ma poi avanza. Non va lì da anni e anni. Non è cambiato niente, dentro.
Ha persino lo stesso odore.
Gli mancava, quel profumo d'erba pulita. Per qualche motivo, suo padre ha quel sapore e se n'era scordato. Rieccolo; è tremendo, è bellissimo.
"Allora" inizia.
"Allora."
Imbarazzo, ovviamente. Era preparato.
"Prima di tutto" prosegue Tighnari, "vorrei chiederti, per cortesia, di lasciar stare Cyno. Non è proprio il caso di andare a infastidire le autorità dell'Akademiya."
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After dark
FanfictionRaccolta di one shot un po' casuali su Cyno e Tighnari, perché sono la ragione delle cose belle della vita.