14. Pioggia Tropicale

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Dal messaggio a Connor, in cui sua figlia lo informava brevemente che avevamo perso l'aereo, erano passati altri quattro orgasmi di Gabi e una mia esplosione da guinness dei primati

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Dal messaggio a Connor, in cui sua figlia lo informava brevemente che avevamo perso l'aereo, erano passati altri quattro orgasmi di Gabi e una mia esplosione da guinness dei primati.

Ero stanco, rilassato e felice. Mi aspettava una settimana da solo con lei. Non mi sembrava vero. Ci saremmo lasciati alle spalle tutte le incomprensioni. Avrei avuto tutto il tempo per rassicurarla sui miei sentimenti e sul fatto che non l'avrei mai abbandonata.

Forse questo avrebbe richiesto un po' più di tempo, considerando tutto il bagaglio di ferite che si portava dietro da quando sua mamma l'aveva lasciata, per non mandarle più nemmeno un biglietto di auguri a Natale.

Ma era comunque un buon inizio. Avevo la testa leggera avendo lasciato andare tutta la tensione della settimana.

Gabi era sotto la doccia e mi sembrò un buon momento per avviare la chiamata.

«Nathan William Walsh, finalmente ti degni di alzare quel maledetto telefono!»

Nome per esteso, cognome e anche secondo nome. Ero spacciato!

«Lo so mamma, scusa, dovevamo avvisarti prima, ma speravamo fino all'ultimo di sistemare le cose ed arrivare in aeroporto in tempo. Poi, cercando un gommista che avesse i pneumatici della larghezza giusta per il Wrangler, non abbiamo più fatto caso al telefono.»

«Dove siete ora?»

«Siamo a Long Beach. Ci siamo fermati a mangiare qualcosa qui.»

Un grido di gioia mi trapanò quasi il timpano. Avevo mentito su dove eravamo per sembrare più credibile riguardo ai nostri tentativi di partire.

«Ottimo! Rimanete in zona! C'è un volo alle 18.10! Connor è già sul sito della United! Tra cinque minuti ti invio i biglietti. Dai un bacio a Gabi, tesoro.»

Riattaccò senza darmi il tempo di replicare. In quel momento capii come fosse stato possibile che mia mamma avesse creato tutti quei fraintendimenti riguardanti la voglia di Gabi di partecipare a quel viaggio.

Ero ancora frastornato dalla telefonata, quando Gabi riemerse dal bagno in una nuvola di vapore che sapeva di lime e zenzero.

«Allora, come è andata? Susan ci è rimasta male?»

«Oh, beh... È andata divinamente, direi! Abbiamo un volo per Cancun tra tre ore e venti minuti esatti.»

Le spiegai la chiamata senza via di uscita, mentre l'aiutavo a fare la valigia in fretta furia. In pochi minuti eravamo già in macchina.

«Non capisco come diavolo non hai fatto a pensarci, Nate! Era abbastanza scontato che ci trovasse un altro volo dicendole che eravamo a pochi chilometri dall'aeroporto!»

«Ma cosa dovevo dirle secondo te? Che mi avevi chiesto di raggiungerti a Montauk perché avevi bucato? Ti sembra una scusa che possa reggere? Non sei una sprovveduta, Gabi, sei sveglia e indipendente. Te la sai cavare benissimo da sola in queste cose. È già tanto che abbiano creduto che tu mi abbia chiesto aiuto nelle vicinanze dell'aeroporto.»

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora