19. Dove sei ?

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Stavo impazzendo

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Stavo impazzendo. Gabi non mi rispondeva da due giorni interi. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo, anche se ovviamente sapevo benissimo che centrava quella mela marcia di Michaela. Quel pensiero, ovviamente, non faceva altro che aumentare la mia angoscia.

Continuavo a chiamare mia madre con le scuse più disparate, con la speranza di carpire qualche piccolo indizio, ma non potevo fare domande dirette. Non ero solito chiedere di Gabi, così come lei non intavolava mai le conversazioni su di lei.

Decisi quindi di delegare la firma del contratto con Andy Daniels a un mio editor. So che né Andy, né il mio capo l'avrebbero presa bene. Ma il lavoro non era la mia priorità in quel momento.

Raggiunsi Montauk in solo due ore e venti minuti, rischiando l'arresto per mancato rispetto dei limiti di velocità.

Entrai in casa e trovai mia mamma che stava già cucinando per la cena.

«Tesoro, che bello averti qui! Non sapevo saresti venuto in settimana!»

«Ho incontrato un autore a South Hampton e volevo farti una sorpresa.»

Notai con la coda dell'occhio solo due piatti apparecchiati sul tavolo.

«Connor è via per lavoro?»

«No, è già rientrato, è di là nel suo studio.»

Cedetti sperando di riuscire ad apparire più indifferente possibile.

«E Gabi?»

«Oh tesoro, non te l'ho detto? Pensavo vi sentiste dopo il Messico. Mi sembrava che il vostro rapporto fosse migliorato.»

«Sono stato molto impegnato questa settimana.»

«Oh, ho capito. Ad ogni modo è a Rhod Island. Ha deciso tornare là per concentrarsi solo sugli esami.»

«Bene, si concentrerà di sicuro di più sullo studio. Senti mamma, devo passare un attimo da Aiden a lasciargli una cosa e poi torno per cena, ok?»

Pochi minuti dopo stavo battendo contro la porta di Michaela Hamber, fin quasi a scardinarla.

Mi accolse con un ghigno soddisfatto vedendomi ansimante e sconvolto.

«Problemi, Point Break?»

«Dimmi cosa le hai detto per farla scappare.»

«Oh, ma io non ho fatto proprio nulla per farla scappare. Hai fatto tutto da solo.»

«Bugiarda!»

Urlai così forte che arretrò d'istinto, fino ad appiattirsi contro il muro dell'entrata.

Mi avvicinai per intimorirla maggiormente.

«Sei finita, Micky. Ora le racconterò tutto.»

Fece spallucce.

«Provarci. Sempre se ti starà ad ascoltare. Non penso si fidi molto di te, ormai.»

«Sei una lurida...»

«Vai avanti, vuoi spaccarmi la faccia? Forza! Chissà cosa penserà di te quando la chiamerò e le dirò che mi hai buttato giù la porta per poi mettermi le mani addosso.»

Il mio pugno partì come animato da vita propria e si sfracellò contro la parete a pochi centimetri dal volto di Micky. Non l'avrei mai colpita, ma in qualche modo avevo bisogno di sfogarmi, meglio ancora facendole capire che non scherzavo.

Non sapevo se mi fossi rotto qualcosa, perché la rabbia e l'adrenalina non mi facevano sentire più nulla. Non riuscivo a sentire nemmeno le cattiverie che quella strega cercava di urlarmi mentre le davo le spalle e mi dirigeva verso la macchina.

Tornato a casa, salii di corsa al piano superiore per cercare il kit del pronto soccorso e fasciarmi la mano per evitare che mia mamma iniziasse ad urlare e chiamare un'ambulanza alla vista di due gocce di sangue.

Mi sedetti sul bordo del letto e mi passai la mano buona sulla barba in preda alla disperazione. Mi strofinai gli occhi sentendomi in gabbia. Il primo traghetto per New London sarebbe stato solo la mattina seguente, ero costretto a ricompormi e cenare con mia mamma e Connor come se nulla fosse. Mi accorsi di avere la camicia imbrattata di sangue e mi alzai per prendere una maglia pulita dalla cassettiera. E fu così che la vidi non appena aprii il primo cassetto. Una foto accartocciata di me e di Stacy al porto. Tirai un altro pugno sul muro con la stessa mano ammaccata. Quella volta, fui certo di essermi rotto qualcosa.

Il giorno dopo presi il primo traghetto. Il vento soffiava sul ponte fino quasi a spostarmi, ma rimasi comunque lì fuori. Avevo bisogno d'aria e la violenza di quelle folate rispecchiava perfettamente il mio umore.

La mano mi pulsava, ma non avevo nessuna intenzione di perdere tempo in qualche ospedale.

Ero davvero incazzato. Prima di tutto con me stesso, per non aver previsto le mosse di Michaela.

Se avessi detto a Gabi del messaggio di Stacy subito, non saremmo arrivati a questo punto. Micky non avrebbe avuto margine per manipolare così la situazione, scattando e inviando quelle foto.

Ero anche arrabbiato con Gabi per essere scappata così senza dirmi nulla, senza chiedere una spiegazione o un semplice confronto. Per aver dato più peso a quelle stupide foto, invece che a quello che le avevo dichiarato l'ultima notte trascorsa assieme a Montauk.

Avevo cercato solamente di proteggerla. Di risparmiarle una delusione. Di lasciarle spazio per capire da sola chi fosse davvero Michaela Hamber. Invece in quello scenario, io ero l'unico su cui gravavano le colpe. Dall'oggi al domani aveva deciso di tagliarmi fuori, senza nemmeno comunicare o ascoltare la mia versione.

Immaginavo bene quali fossero le paure e le ferite che si celavano dietro questa reazione. Ma così non poteva andare. Non poteva gettare via tutto e scappare ogni volta che arrivava a una conclusione affrettata.

Preso da un moto di rabbia provai a chiamarla nuovamente, nonostante sapessi benissimo che non mi avrebbe risposto.

Mi sembrava di avere le mani legate e la cosa mi faceva impazzire. Avevo ancora qualche ora di viaggio davanti e non volevo aspettare di arrivare a Rhode Island. Quindi feci quello che avrei dovuto fare il primo giorno di questa orribile situazione.

Le inviai gli screenshot dei messaggi con Stacy che comprendevano la foto scattata da Micheala e le lasciai un messaggio in segreteria per spiegarle tutto.

Non volevo che le cose andassero così, ma Gabi non mi aveva davvero lasciato scelta.

Per quanto volessi che scoprisse il gioco sporco di Micky, odiavo l'idea di procurarle un'altra delusione riguardo una persona da cui pensava di essere amata. Sbagliato o no che fosse, quella strega aveva avuto un ruolo importante nella sua vita. Mi dispiaceva gettarle in faccia quella secchiata di acqua ghiacciata per aprirle gli occhi.

Dall'altra parte però, era l'unico modo per riuscire ad avere una possibilità di parlare con lei. O almeno così speravo.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora