35. Déjà vu

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«Ragazze, c'è qualche messaggio per me?»

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«Ragazze, c'è qualche messaggio per me?»

«No, Nate, nessun messaggio. Oh, era solo passata tua sorella dopo pranzo...»

«Emily! Aveva detto che era una sorpresa!»

«Oddio, Nate, scusami. Ti prego, fai finta che non ti abbia detto niente!»

«Emily, ora con calma ti dovrai spiegare meglio. Sono io il tuo capo, quindi è giusto che mi riporti tutto. Spiegami bene cosa è successo.»

«Gabrielle, giusto? Non è la tua sorellastra, quella bellissima ragazza con i capelli rossi e gli occhi grandi e grigi?»

«Sì, è lei. Quando è passata?»

«Verso le tre e mezza, credo.»

«Sì, le tre e mezza. Era appena entrata la Stuart nel tuo ufficio.»

Mi stavano mandando al manicomio tutto il giorno. Non ne facevano una in due. Non riuscivano né a gestire il centralino, né a riportare un semplice avvenimento. Iniziai a spazientirmi anche perché il fatto che Gabi si sia fatta tre ore di macchina, per poi non vederci nemmeno cinque minuti, mi rendeva davvero inquieto.

«Ha detto dove sarebbe andata?»

«Ha detto che aveva un impegno e ti avrebbe aspettato a casa. In effetti, ora che ci penso, era un po' strana quando se n'è andata. Come se avesse ricevuto una brutta notizia.»

«Emily, per favore, rintraccia subito il numero della portineria di casa mia e passamelo sul cellulare della mia auto.»

Allentai la cravatta e mi fiondai nell'ascensore con un bruttissimo presentimento.

Come prevedevo, dalla portineria mi confermarono che Gabi non era nemmeno passata da casa. Così presi direttamente la 495 per Montauk, con la solita speranza di non essere arrestato per eccesso di velocità.

Provai a chiamarla sul cellulare diverse volte lungo il tragitto, ma non mi rispose.

Quando arrivai a casa dei nostri genitori il mio nervoso era ormai fuori controllo.

«Ciao mamma, ciao Connor. Gabi è in casa?»

«No, figliolo, ci ha mandato un messaggio dicendo che aveva un appuntamento di lavoro per cena. Dovrebbe rientrare a momenti.»

«Hai parlato con tua figlia?»

«Non ancora...»

«Maledizione, Connor! Ora le diremo tutti assieme la verità. Non posso mentirle ancora, come non posso rimanere rintanato a New York per evitare che capisca che qualcosa non vada. Ti ho lasciato già abbastanza tempo.»

«Va bene, Nate, non ti agitare. Non appena arriverà a casa glielo diremo.»

Nello stesso istante, una macchina entrò nel vialetto, ma non era quella di Gabi. Avendo lasciato i fari della macchina accesi puntati verso di noi, non riuscii a vedere subito chi fosse sceso dal lato del guidatore. La figura sembrava quella di una donna e si dirigeva ad aprire la portiera del passeggero, dal quale scese la silhouette barcollante di Gabi. Le due donne si stavano dirigendo verso di noi.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora