39. Peonie

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Il taxi mi accompagnò all'entrata della Bakery

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Il taxi mi accompagnò all'entrata della Bakery. Non guidavo da troppi mesi e non ero sicura fosse la mattina giusta per ricominciare, dato che ero già abbastanza agitata per quell'incontro.

«Tesoro, sono così contenta che tu mi abbia chiamato. Tuo padre mi ha detto che sei stata via per un po' di mesi, dove sei andata di bello?»

«Ho viaggiato un po' qui e un po' là.»

Non mi andava di raccontarle la verità. Non ero lì per confidarmi.

«Va tutto bene a casa? E con il tuo fidanzato? Non l'ho più visto in giro nemmeno lui.»

«Perché sei tornata, Gena?»

Non avevo voglia né di convenevoli, né di giri di parole.

«Beh, non me ne sono proprio andata. Sai, il freddo non fa per me, ho solo trascorso l'inverno a Miami con il mio fidanzato. Non vedo l'ora di fartelo conoscere.»

«Gena, sono contenta che tu abbia trovato un compagno che ti faccia passare l'inverno al caldo, ma non mi riferivo ad ora. Intendevo la scorsa estate. Perché sei tornata a Montauk, la scorsa estate?»

«Beh, sai, mi mancavate tu e tuo padre...»

«E ci hai messo sedici anni per rendertene conto?»

La mia terapista non sarebbe stata molto contenta di come stavo gestendo quella conversazione, ma il rancore verso mia madre forse era la cosa più difficile da lasciare andare... ovviamente dopo Nate.

«Beh, ne ho passate tante e ho pensato che dopotutto non erano stati così male gli anni trascorsi qui.»

«Quindi perché te ne saresti andata sedici anni fa?»

«Le cose con tuo padre non andavano bene da quando ci eravamo trasferiti. Lavorava tanto e io qui mi sentivo depressa. Sai, sono sempre stata abituata a vivere in grandi città, piene di vita, opportunità, eventi...»

«Quindi per questo mi hai lasciato a quattro anni? Perché Montauk era troppo monotona per te?»

Un sapore amaro mi stava salendo dalla gola. Avevo passato anni in terapia perché lei si annoiava a fare la vita di provincia. Avevo tentato di suicidarmi perché per lei trascorrere l'inverno a Montauk era troppo deprimente. E ora stava mettendo a repentaglio tutto il lavoro che avevo fatto in riabilitazione negli ultimi cinque mesi, facendomi perdere completamente il controllo di me stessa.

«Tesoro, lo so che ho fatto molti errori, ma sono qui, voglio recuperare.»

Mi toccò la mano e io la ritrassi immediatamente, prendendo dentro con il gomito la decorazione floreale che c'era sul nostro tavolo. Un cestino di peonie simile a quelle che mi aveva regalato Nate con il computer e il set di pennarelli. O come tutti i piccoli bouquet che mi portava ogni volta che veniva a trovarmi nel cantiere del SunnyT.

Il rimpianto si impadronì del mio stomaco. Nate non aveva fatto altro che farmi costruire la casa dei nostri sogni. Ne aveva scelta una vicino a quella dei nostri genitori e aveva fatto in modo che io la personalizzassi pilotando qualche piccola modifica.

Mi aveva detto che Dubois aveva dei nipotini piccolini, facendomi predisporre quel luogo come una casa per una giovane coppia con dei figli. Quando Allyson mi forniva le indicazioni, inoltre, insisteva sempre sul concetto di armonia.

«Gabrielle, andiamo, dopo tutto siamo una famiglia.»

Mi venne in mente l'ultima notte a New York a casa sua. Non riuscendo a dormire per via dell'agitazione dovuta al ritorno, avevo googlato il significato delle peonie che mi aveva regalato poco prima e che avevo lasciato sul comodino.

'Vivere assieme in armonia.'

Non era questo il significato di famiglia?

«Quindi ti sei svegliata un giorno scoprendo di voler tornare da me e da mio padre e giustamente per recuperare hai tentato di distruggere tutto quello che avevamo ricostruito faticosamente dopo che ci avevi abbandonato?»

«Beh... una donna deve pur lottare per quello che vuole, no?»

Risi amaramente fino alle lacrime.

«In una famiglia ci si sostiene sempre qualunque cosa succeda, non si abbandona nessuno. Si lotta assieme. Per stare assieme. E tu sei solo una che non vede più in là di sé stessa.»

Mi alzai dal tavolo, considerando che dopotutto nella mia bucket list avevo scritto "incontrare mia mamma", non "diventare la sua migliore amica". Quell'incontro poteva benissimo considerarsi concluso.

Mi chinai verso di lei per un'ultima volta.

«Non azzardarti mai più ad avvicinarti a me, a mio padre, a Susan o a Nate. Noi siamo una famiglia e con te non abbiamo proprio niente da spartire.»

Tornai verso il taxi. Avevo detto all'autista di aspettarmi, intuendo che quell'incontro sarebbe stato doloroso, ma breve. Poco prima di aprire la portiera mi sentii toccare la spalla.

«Ehi, Gabrielle, che bello rivederti! Non ti ho più visto in giro!»

«Matt Lee, come stai? Non sei più a Boston?»

«No, mi sono trasferito a New York, quindi torno spesso qui adesso. Sai, ho incontrato per caso anche tuo fratello l'altro giorno. Ma cosa gli è successo? Sembra il fantasma di se stesso. Mi ha detto che ha anche smesso con il surf. Ho sentito un paio di amici in comune e mi hanno detto che non lo vedono quasi mai. Cristo, ha venduto anche il pick-up per prendersi una cazzo di macchina elettrica. Ma sta bene?»

Ho sempre dato per scontato che Nate avesse voltato pagina in quei mesi semplicemente perché io ero rinchiusa in una clinica e lui no . Avevo pensato che non ci avrebbe messo molto a tornare a godersi la vita. Dopo tutto, io ero quella danneggiata, non lui. Era sempre stato lo stereotipo del classico scapolo d'oro della Grande Mela. Ma dalla descrizione di Matt, le cose non stavano andando come avevo sempre creduto. Ancora una volta avevo sottovalutato i suoi sentimenti per me.

Immersa nei miei pensieri, non risposi nemmeno a faccia da sushi, mi limitai a risalire sul taxi.

«Al 233 di Old Montauk Highway, per favore.»

La chiave del portone era ancora sotto il vaso dove l'avevo lasciata. A distanza di mesi c'era ancora odore di vernice fresca. Mi guardai intorno attentamente. Anche in quella casa il tempo pareva essersi fermato. L'unica cosa che tradiva i mesi trascorsi, era il mazzo di peonie ormai secche su quella che era la mia scrivania improvvisata. Anche il mio computer era ancora lì.

Se c'era una chance che anche i sentimenti di Nate fossero rimasti congelati nel tempo, invece che svaniti completamente, forse avevo ancora una possibilità.

Aprii il mio portatile e mi rimisi al lavoro.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora