13. Turbolenze (non) aeree

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Non mi ero spaventata perché avevo riconosciuto il suo profumo prima ancora di sentire i suoi pettorali di marmo sfiorarmi le spalle

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Non mi ero spaventata perché avevo riconosciuto il suo profumo prima ancora di sentire i suoi pettorali di marmo sfiorarmi le spalle.

Rimasi rivolta verso il frigorifero per qualche secondo per richiamare le forze e affrontarlo. Sapevo che sarebbe successo, ma non me lo aspettavo in quel momento. Lo facevo con Stacy sull'aereo diretto a Cancun.

Mi strappai gli AirPods interrompendo subito la musica.

«Non mi va più» pronunciai quelle semplici parole in modo freddo, mentre sgattaiolavo dall'altra parte dell'isola.

«Cambi idea piuttosto facilmente, Gabi.»

Dio, che faccia tosta! Non meritavo quell'allusione. Un attimo prima era dentro di me tra mille moine e quello dopo a braccetto con la sua fidanzata. Ed ero io quella che cambiava idea? In un solo scambio di battute, avevo già finito la mia riserva di diplomazia.

«Che cavolo ci fai qui, Nate? Tu e "Tette rifatte" non dovreste essere in volo per il Messico in questo preciso istante?»

«No. Tu e io avevamo un volo da prendere. Io e Stacy ci siamo lasciati domenica scorsa. Lo sapresti, se ti fossi degnata di rispondermi.»

Feci spallucce e finsi disinteresse.

«Buon per lei. È una brava ragazza. Può meritarsi qualcosa di meglio.»

Risposi di getto mantenendo la mia linea difensiva. Non avevo ancora elaborato quello che mi aveva appena detto. Qualsiasi cosa stesse cercando di dirmi, io non volevo ricascarci. Volevo solo rimettere insieme la mia corazza che era riuscito a smantellare in una sola notte, con tanto di terzo, seppur per me molto piacevole, incomodo.

Rimaneva il fatto che era fuggito senza dirmi nulla. Era letteralmente scappato dalla cucina in preda alla paura che dicessi qualcosa alla sua fidanzatina o alla sua mammina. Chi mi diceva poi che non era stata Stacy a lasciarlo?

Era vero che avevano rotto domenica scorsa? Susan mi aveva chiamato inondandomi di parole e gridolini. Non mi aveva fatto praticamente neanche parlare. Aveva deciso lei che sarei andata a Cancun, per poi chiudere la telefonata dicendo, «Ora facciamo i biglietti anche per Nate e Stacy.»

Sicura delle mie valutazioni, mi rinfilai gli AirPods e i Muse ricominciarono a riempirmi la testa mentre correvo al piano di sopra.

«Gabi, non puoi fuggire ancora, dobbiamo parlare.»

Lo sentivo dietro di me. Mi aveva raggiunto con poche falcate.

Riuscii a raggiungere la mia camera e gli chiusi la porta praticamente in faccia. Girai la chiave, ma non feci in tempo a raggiungere la porta del bagno per chiuderla anche quella.

Nate era già sulla soglia con il respiro a mille, esattamente come il mio.

«Dobbiamo parlare di quello che è successo.»

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora