29. Famiglia

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Mentre stavo svuotando il penultimo cassetto, la voce di mia mamma mi colse alla sprovvista

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Mentre stavo svuotando il penultimo cassetto, la voce di mia mamma mi colse alla sprovvista. Alzai gli occhi e la trovai sulla soglia della porta.

«È per via di quello che è successo con tuo padre che ti senti così responsabile per lei? Perché è una che molla?»

Mi sedetti sul letto riflettendo su quello che mi stava chiedendo. Mio padre aveva chiesto di smettere con le terapie quando gli fu chiaro che non avrebbero arrestato il tumore che gli stava mangiando il cervello, ma che gli avrebbero solamente prolungato l'agonia di qualche settimana o al massimo di un paio di mesi. Mesi che avrebbe comunque trascorso in ospedale, attaccato ai macchinari e con buona probabilità non del tutto cosciente.

Era stato difficile accettare la sua decisione. Rimasi arrabbiato con lui per anni perché dal mio punto di vista di ragazzino, mio padre non aveva lottato abbastanza per noi, lasciando mia madre in grosse difficoltà. Avevo affogato la mia rabbia esattamente come aveva fatto anche Gabi, con l'unica differenza che avevo una madre presente e degli amici che invece di rifilarmi droghe come faceva Michaela, cercavano di aiutarmi come potevano. Ma la mia vita cambiò proprio quella notte a Fort Pond Bay. Non volevo fare la fine di quella ragazza che si era gettata dal pontile. Mi ero reso conto che con quello stile di vita, stavo gettando la spugna come aveva fatto mio padre e come aveva fatto quella ragazzina che avevo strappato da quelle acque buie. Così iniziai a darci dentro con gli esami e con la carriera cercando di costruire qualcosa, invece di distruggere tutto. Nel frattempo non riuscivo a smettere di chiedermi come stesse quello scricciolo dai capelli rossi che avevo tratto in salvo. Mi chiedevo quale fosse la vera ragione di quel gesto, perché era sola sul quel pontile quella sera e perché nessuno dei suoi genitori l'avesse raggiunta durante il suo ricovero.

Dopo aver risposto alle domande della polizia, ero passato in ospedale per sapere come stesse. Non mi avevano dato informazioni in quanto non ero suo parente. Aspettai quindi diverse ore fuori dal reparto chiedendo all'infermiere se fosse arrivato qualcuno della sua famiglia. Ma all'alba non si era presentato ancora nessuno ed io non potendo fare molto ero tornato a casa da mia mamma per raccontarle tutto. Seppi dai giornali che era stata dimessa pochi giorni dopo e che stava bene.

Così nel corso degli anni tra una festa e l'altra in giro per Long Island, controllavo quella ragazzina a debita distanza. Non l'avevo mai avvicinata perché non volevo turbarla presentandomi come il ragazzo che le aveva impedito di suicidarsi. Inoltre lei era ancora minorenne e più la vedevo e l'osservavo, più sentivo crescere in me una forte attrazione. Durante le serate la vedevo sempre allegra e pronta a divertirsi, ma sapevo bene come si sentisse perché mi riconoscevo in lei. Con l'avvio della mia carriera nel mondo dell'editoria e il tempo sempre maggiore che trascorrevo in città, la persi di vista. Finchè mia mamma non mi presentò il suo futuro marito e sua figlia a una cena a South Hampton. Da lì in poi compresi l'origine di tutti i suoi problemi.

«Forse all'inizio sì. La guardavo da lontano chiedendomi che cosa portasse una ragazza così bella e di buona famiglia a comportarsi in quel modo. Ma ora è più di questo, Mamma. La amo. Mi spiace che questo vada contro quello che volevi. Ma non posso farci niente. La amo e non chiedo altro che stia bene e che sia felice.»

«Pensi di sposarla?»

«È quello che vorrei, sì, ma solo quando sarà davvero pronta. Ora ha ancora bisogno di rimettere assieme i cocci e imparare a fidarsi.»

Si avvicinò e si sedette sul letto al mio fianco.

«Nate, ho parlato con Connor, e pensiamo che sia meglio che tu rimanga qui. Non sarà facile per lui accettare, ma tutto quello che gli hai vomitato in faccia prima, credo abbia smosso qualcosa in lui. È un brav'uomo, ma ha fatto tanti sbagli non sapendo come gestire l'abbandono della moglie.»

«Non credo sia una buona idea. Non voglio che ci siano tensioni. È l'ultima cosa di cui Gabi ha bisogno ora.»

«Hai ragione. Ma come ti ho sempre detto, ha bisogno anche di sentirsi amata da una famiglia. Indipendentemente dal vostro tipo di rapporto, noi siamo e rimarremo comunque una famiglia. Sono sicura che posso aiutare Connor a comprendere cosa voglia dire e tu puoi aiutare Gabi a fare lo stesso.»

Non ero sicuro che riportarla a casa di Connor fosse la cosa giusta da fare. Non sapevo fino a che punto l'ipotetica tregua poteva funzionare, ma dovetti cedere perché anche Gabi sembrò intenzionata a tornare a Montouk.

Quella mattina, io e suo padre ci eravamo salutati senza più aggredirci, ma non ero comunque tranquillo.

Pioveva a dirotto e Gabi era raggomitolata sul sedile del passeggero, dentro la sua tuta di ciniglia rosa antico che mi aveva chiesto di portarle. Le mi suona mano sulla cosca.

«Piccola, sei proprio sicura? Non sarebbe meglio andare a New York per qualche giorno? Giusto il tempo per calmare le acque?»

«No Nate, voglio risolvere la situazione ora. Non sei tu che mi hai sempre detto di non scappare?»

«Ok Gabi, però promettimi che se non ti sentirai a tuo agio, ce ne andremo.»

«Te lo prometto, Nate.» rispose sforzandosi di sorridere e stringendomi la mano.

Entrando in casa mi resi conto che l'imbarazzo era palpabile. Connor ci aveva aperto la porta mentre mia mamma era già ai fornelli.

«Ciao, Gabi.»

«Ciao, Papà.»

«Come ti senti?»

«Sto meglio.»

Fu la prima volta che lo sentii fare alla figlia quella domanda. Credo che nella scala delle attenzioni di Connor, quelle parole valessero anche come scuse. Gabi infatti gli sorrise e si diresse in cucina da mia mamma.

«Vieni, Nate, lasciamole sole.»

Connor mi invitò ad uscire in veranda dove ci sedemmo sulle due poltrone in legno. Mi limitai a scrutare le onde che stavano piano piano aumentando di potenza, in attesa che iniziasse a parlare. Rimanemmo in silenzio per diversi minuti.

«Ho fatto tanti errori con Gabi, ma non sapevo cosa fare quando sua mamma ci ha lasciato. La sera di Fort Pond Bay ero fuori città e hai ragione. È stato più semplice pensare che fosse stato un incidente così come era più semplice fare finta che fosse semplicemente incline a fare della normale baldoria. Ma rimane mia figlia, Nate. E tu sei il figlio di mia moglie. Capisci che se le cose non dovessero andare bene tra di voi, anche il nostro matrimonio ne risentirebbe?»

«Lo so, ed è proprio per questo abbiamo tenuto segreta la nostra relazione. Non per mancanza di rispetto nei vostri confronti. Volevo solo aspettare che Gabi si sentisse più a suo agio in una relazione seria.»

«Beh immagino che questo problema sia, volente o nolente, superato ormai... Mi sforzerò di accettarlo, ma questo non vuol dire che sia semplice. Ti chiedo solo discrezione sotto il mio tetto. Puoi promettermelo da padre a fidanzato?»

«Hai la mia parola, Connor. Se mi prometti che non farai sentire in colpa Gabi o la farai sentire una delusione. Si sta impegnando molto a costruire qualcosa e non solo con me.»

Connor mi tese la mano e io la strinsi, sperando di aver fatto la scelta giusta per la mia piccola tempesta.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora