11. La devastazione dopo la tempesta

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Mi rigiravo nel letto senza riuscire a dormire

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Mi rigiravo nel letto senza riuscire a dormire. Nate mi aveva suggerito di riposare e in effetti ero molto stanca dopo la nottata, ma il sonno non arrivava. Come poteva?

Ok, aveva gestito la questione dei nostri genitori. Ma per il resto?

Non avevamo avuto modo di parlare del casino che avevamo combinato. Forse non ne aveva nemmeno l'intenzione? Avrebbe fatto finta di niente? Per lui forse non era stato così importante?

Stavo impazzendo.

Nemmeno Micky rispondeva al telefono. Avevo provato a chiamarla numerose volte e le avevo lasciato diversi messaggi in segreteria. Non sapevo se fosse andata via non trovando più nessuno in camera o se fosse a causa del fatto che io e Nate ci eravamo appartati in camera sua, escludendola.

Mi accorsi di un avanzo di canna rimasta sul comodino. Maledettissima Michaela. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che mio padre o la sua dolce Susy trovassero della droga in camera mia.

Forse, però, era proprio quello di cui avevo bisogno per riuscire a dormire.

Mi avvolsi in un cardigan lungo e uscii sul balcone per fumare. Là, vidi Nate nel suo elemento naturale.

Stava sulla spiaggia, in piedi, rivolto verso il mare, avvolto dal sottile strato di neoprene della sua muta. Anche da quella distanza, riuscivo a vedere i muscoli definiti della sua schiena.

Il mio ventre si contorse piacevolmente al solo pensiero che poco più di un'ora prima quel corpo si stava dimenando tra le mie gambe, mentre le mie mani esploravano tutti i muscoli della sua schiena abbronzata.

Accesi la canna e inspirai profondamente, sentendomi subito più rilassata. In quel momento, Nate si voltò verso un pastore tedesco che sfrecciava sulla spiaggia e notai il tormento sul suo volto.

Dovevamo parlare al più presto.

Tornato a guardare il mare, prese la sua tavola e iniziò a nuotare verso le onde. Per qualche minuto mi soffermai a guardarlo cavalcarle, in una danza armoniosa e potente.

L'onda che stava dominando fu però più veloce e alla fine lo spinse sott'acqua. Quando riemerse aveva un sorriso soddisfatto sul viso e il mio cuore si gonfiò a quella vista.

Tuttavia mi ritirai in camera. Non volevo farmi beccare a osservarlo, così come non volevo che la preoccupazione per la nostra situazione complessa tornasse a intorbidire un suo momento di felicità. Avremmo parlato più tardi. Mi gettai a letto e caddi in un sonno profondo, coccolata dal suo odore che ricopriva ancora la mia pelle.

Era buio e ci trovavamo a bordo di una piccola barca a remi. L'acqua era scura, così come il cielo. Non c'erano né la luna né le stelle a illuminare la notte. Micky era in acqua e mi tirava per una caviglia.

«Dai stronzetta, muoviti. Non tirarla per le lunghe, vieni a farti un bel bagno.»

A bordo, invece, Nate mi stringeva per un braccio e mi sussurrava di non andare, con la sua voce ruvida e sensuale, persuadendomi a rimanere con lui senza lasciarmi mai la mano.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora