24. Abbuffata d'amore

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Mi trovai bene con la dottoressa Kendrik fin dal primo appuntamento e accettai subito un percorso di terapia con lei

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Mi trovai bene con la dottoressa Kendrik fin dal primo appuntamento e accettai subito un percorso di terapia con lei. Mi aveva inoltre fatto incontrare un nutrizionista, il quale mi aveva stilato un piano di riabilitazione alimentare. La dieta dettagliata stava riabituando il mio stomaco ad accettare sempre più cibo. In realtà, ero convinta che il grosso del lavoro lo stessero facendo le continue attenzioni di Nate e il modo in cui, piano piano, mi stava facendo fare pace con il mio corpo tra baci, carezze e tanti orgasmi celati al buio della sua camera da letto.

La fame e le energie stavano tornando a poco a poco, e quelle due settimane a New York trascorsero velocemente. Non mi era dispiaciuto quel test preliminare della mia futura vita in città. Non ero ancora abituata a tutta quella costante frenesia, avendo sempre vissuto negli Hamptons o a Rhode Island. Ero riuscita a pranzare con Nate solo poche volte, raggiungendolo in ufficio. Tra le mie sedute e alcune pratiche che avevo espletato alla Columbia, avevo avuto il mio da fare. Per quanto non avessi ancora dichiarato le mie intenzioni, non avevo ancora cercato nessuna sistemazione.

Ero ancora piena di paure e fobie riguardo alla nostra relazione, ma più stavo con lui, più riusciva a rassicurarmi.

Ero avvolta tra le sue braccia, godendomi la miriade di baci con cui mi stava tempestando la nuca. Era venerdì ed era tornato a casa presto. Non ci vedevamo dalla sera prima perché Nate era uscito all'alba e aveva avuto riunioni tutto il giorno, così finimmo, inevitabilmente, tra le lenzuola poco dopo il suo arrivo. Eravamo avvinghiati uno all'altro nell'attesa che ci consegnassero le pizze. Ero sicura che sarei riuscita a mangiarne appena due fette, ma per me era già un grosso traguardo. Così come lo era stato non oscurare la finestra per fare l'amore alle calde luci del tramonto.

«Nate, possiamo mangiare a letto?»

«Mi sembra di averti appena dimostrato a cosa servono i letti, piccola tempesta. E non servono per mangiare. Almeno, non la pizza.»

Ridacchiai.

«Ti prego!»

«Ne hai parlato con la Kendrik di questa tua fissa di mangiare a letto?»

«In realtà, sì.»

«E...?»

«E secondo lei è normale perché sto associando il cibo e il sesso con te, ad attenzione e cura per me stessa.»

«Oh beh, quindi ora sono stato declassato a psicofarmaco?

Gli diedi una piccola gomitata nel fianco.

«Smettila! Dico davvero, ho sempre fame dopo aver fatto l'amore con te.»

Riecco il suo ghigno felice.

«Beh, se le due cose sono sinergiche, possiamo lasciare perdere il galateo per questa sera. Il programma non mi sembra poi così male: una fetta di pizza, un orgasmo, una fetta di pizza, un orgasmo e così via.»

«Nate, ho ripreso un po' di forze, ma non mi sento pronta così tanto per una maratona.»

Mi fissò a lungo, baciandomi poi sulla fronte.

«Ti senti pronta al resto, invece?»

«A cosa?»

«A domani.»

«Sì, credo di sì. E poi non abbiamo scelta. È già stato abbastanza strano non tornare lo scorso weekend. Inoltre, mi manca l'oceano, i bagni al tramonto, le feste in spiaggia. Eh sì, sento la mancanza anche dei pancake di tua mamma.»

«Hai appuntamenti con la Kendrik la prossima settimana?»

«Le ho menzionato che sarei tornata a Montauk e mi ha detto che avremmo potuto organizzare i nostri incontri anche in videochiamata.»

«Perfetto, allora domani mattina farò un paio di chiamate in modo da organizzarmi per lavorare da lì quasi tutta la settimana.»

«Davvero? Oh, Nate, sarebbe perfetto!»

Ero terrorizzata all'idea di separarmi da lui. Avevo paura che, rimanendo lontani, sarei stata sopraffatta nuovamente da tutte le mie fobie.

Lo abbracciai forte, appiattendo il mio corpo al suo. Mi sentivo così piccola ed esile rispetto a quella montagna di muscoli. Avvolgendomi con un braccio, mi fece rotolare e stendere sul letto a pancia in su, per poi appoggiarvi il mento sopra. Era così sexy con i suoi capelli scompigliati e la barba incolta da casual Friday. Mi sorrideva, baciandomi di tanto in tanto intorno all'ombelico, ma il suo sguardo era incerto e la sua fronte corrugata.

«Cosa c'è, Nate?»

«Pensavo che mi sono presentato alla tua laurea senza neanche un mazzo di fiori e volevo farmi perdonare.»

«Nate, credo che tu abbia fatto molto di più quel giorno che portarmi un semplice mazzo di fiori. Mi hai praticamente riportato in vita.»

Vidi un'ombra calare nei suoi occhi per un lungo istante; guardò fuori dalla finestra come a scacciare via qualche pensiero e, infine, si alzò dal letto, offrendomi il panorama delle sue natiche che si contraevano a ogni passo.

«Torno subito, non ti muovere!»

«Non ti preoccupare, non ho più intenzione di scappare.»

Si bloccò sulla soglia della porta e tornò a sedersi sul letto.

«Me lo prometti?»

«Promesso, Cap, non abbandonerò più la nave!»

E lui ricambiò quella promessa con uno dei sorrisi più felici che gli avevo mai visto in volto. Solo la possibilità di vivere quell'attimo era il regalo più bello che poteva farmi.

Invece, tornò in camera con due pacchi a strisce rosa e panna, avvolti in nastri di iuta e delle bellissime peonie fresche incastrate in prossimità del fiocco. Erano più simili a un bouquet che a una semplice decorazione di un pacchetto regalo.

«Nate, ma sono bellissimi. Non dovevi!»

«Almeno aprili, prima di ringraziarmi.»

Tolsi con cura le peonie e le appoggiai sul comodino, chiedendomi quale fosse il significato di quel fiore.

I pacchi contenevano un computer Asus ProArt e un set da centoventi pennarelli da schizzo.

«Nate, ma sei impazzito?»

«Perché?»

«Non dovevi, è troppo!»

«Non è vero, e poi te l'ho detto. Dovevo farmi perdonare. Inoltre, ti serviranno. Ho già chiesto al nostro reparto IT di installare tutti i programmi richiesti per il tuo master.»

«Nate, io... Io non so cosa dire.»

«Dimmi che li userai.»

«Ma...»

«Dimmi che li userai per il progetto di interni per la casa di un nostro autore.»

«Che cosa?»

«Uno scrittore di romanzi rosa storici, che pubblica sotto lo pseudonimo di Andrea Dubois per la nostra casa editrice, ha comprato casa a Montauk a pochi km da quella di tuo padre. Mi ha chiesto se conoscessi qualche bravo interior designer della zona. Così gli ho mandato il tuo articolo di Marie Claire Maison con le foto del progetto di casa tua, e vuole commissionarti il lavoro. È un tipo molto riservato e non parla inglese, quindi dovrai interfacciarti con Allison, la mia segretaria.»

«Nate, mi stai prendendo in giro?»

«No, davvero. Ho già le chiavi.»

«OH. MIO. DIO!»

Balzai fuori dal letto e presi a saltare sul materasso, come una bimba, senza nemmeno rendermi conto di essere completamente nuda e in bella vista. Nate mi guardava dal basso, divertito e con un sorriso stampato in faccia, ancora più bello di quello di prima.

La mia piccola tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora