Il bicchiere è vuoto sul comodino, scorgo ancora dei residui bianchi appiccicati sul fondo. Stanotte le pillole non hanno avuto nessun effetto e l'unica mezz'ora in cui sono riuscito a dormire, mi sono ritrovato nello stesso incubo che faccio da mesi.
Gli spezzoni che ricordo mi tormenteranno per l'intera giornata, forse.
Mi rigiro nel letto, provo a sperdermi tra le stringhe di lucine a forma di stellina che percorrono l'intero soffitto. Di notte, quando si illuminano e le ombre si proiettano lungo le pareti creando figure vaghe, mi illudo che possano trascinarmi in un ricordo meno contorto.
Io non brillo di luce propria come loro.
Mi scavo dentro, continuamente. Non trovo nulla a parte la consapevolezza di non meritare questa giornata o lo spiffero dei primi raggi mattutini dalla tenda, le playlist che mi accompagnano a scuola. Non si può spiegare a parole la sensazione, è qualcosa che si alimenta dei tuoi pensieri astratti e le trasforma in certezza, manovra la tua vita come più le piace.
Sono più una stella morente prossima all'esplosione, non mi tramuterò in una splendida nebulosa. Sarò solo cenere e nient' altro.
Non risorgo.
Scalcio via le lenzuola, mi alzo e, non per mia volontà, mi soffermo allo specchio.
Non va bene nulla.
Non mi va bene questa faccia da bambola di porcellana. Cancellerei qualsiasi lentiggine dal naso, stravolgerei i capelli biondi con una tinta nera come l'inchiostro. Preferirei iniettarmi qualsiasi altro colore negli occhi per non averli più cerulei.
Tutti mi definiscono una bellezza rara, il pezzo di addome che strizzo tra le dita mi suggerisce il contrario.
Non riesco a capirli.
La porta si spalanca improvvisamente, mia madre si sporge appena dallo stipite.
«È pronto giù! Fai colazione con noi, stavolta?»
«Non si bussa?» Tiro giù la t-shirt e le lancio un'occhiataccia.
«Scusa» bisbiglia, «Dai, scendi altrimenti lo sai.»
«Che Erik si offende e ti mette il broncio se non mangio con voi?» Mi accorgo della sua espressione risentita, ho usato un timbro troppo duro.
Se ne va senza aggiungere altro.
Prendo posto a tavola controvoglia, mi sento un filo tenuto troppo in tensione pronto a spezzarsi a momenti.
«Ci sono i pancake!» mi urla nel timpano mia sorella, seduta accanto a me. I suoi occhioni blu trasudano voglia di vivere.
Si scosta la frangia dagli occhi e mi rivolge un ampio sorriso. Infilza con la forchetta due pancake e se li trascina nel piatto. La guardo assorto ma la mia mente ha già captato lo sguardo accusatorio di Erik. Cerco di mantenermi impegnato versandomi un po' di succo di arancia nel bicchiere.
Come sempre con una mano mangia e con l'altra sta al cellulare. È impegnato dice, fa il chirurgo di non so cosa e si fa mia madre, che è pure la sua segretaria. Non potevo ricadere in un cliché più patetico di questo.
Prendo solo un pancake, un disco perfetto in un piatto bianco, spoglio. Che tristezza, non so come faccia a rendere euforica mia sorella.
Altri riempiono il mio piatto.
«Ne devi mangiare di più, così metti un po' di massa!» Il cipiglio di Erik mi entra dentro l'animo e lo fa bruciare.
«Lui è bellissimo!» mi difende mia sorella, una palla di pancake maciullati e sciroppo d'acero nel lato della guancia la fa apparire adorabile. Il suo tono dolce è la secchiata di acqua che spegne l'incendio, lo ha detto con ingenua innocenza senza sapere cosa nasconde dietro il tutto.
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This could be nothing
Romance"Si volta verso di me. Incessanti lampi illuminano il suo viso, ma è lo sguardo che mi rapisce. La luce ha abbandonato i suoi occhi ormai oscurati da rabbia, tormento e follia. Emozioni talmente intense da non poter essere trattenute, scivolano via...