19.Stray heart

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Una notifica da Ian.

"Arrivato a casa?"

Che tradotto equivale a: non so che scusa inventare per scriverti.

"Dormo da Remi" rispondo.

Lo visualizza. Quel sta scrivendo non si concretizza mai in un messaggio e di punto in bianco non appare più online. Meglio così, ha afferrato il concetto. Ian non dovrà più sfiorarmi la mente, nemmeno essere un' insignificante ronzio che perpetua in qualche camera dimenticata del cervello.

Sto con Remi, giusto? E infatti chiamo lui anche se il libro aperto di scienze mi sta rimproverando. Resta in linea tra mille sospiri e riscontri monosillabici, segno che intende terminare in fretta la chiamata.

Un mi manchi muore sulle mie labbra e non sboccerà mai in vita.

Il mio mi manchi sa di tutto, non certo di lui.

Dormo poco e male, mi perdo nei fantasmi della notte che calano giù appena chiudo gli occhi. Non voglio ricorrere alle pillole abbandonate nel cassetto. La spossatezza si è impadronita di ogni fibra del mio corpo, mi deconcentro facilmente in classe. Sono bravo a nasconderlo agli altri e mi abituo all'assenza di Ian, manca da due giorni, probabilmente a causa della febbre.

Ma i miei propositi di tenerlo lontano dalla mia vita sono un ricordo sbiadito. Lo riconosco in lontananza, seduto su un muretto in cortile, lontano da occhi indiscreti. È assorto nella sua sigaretta e in qualche artista a me sconosciuto. Procedo nella sua direzione con un bicchiere da asporto pronto di caffetteria della scuola e il ritmo cardiaco al di fuori della norma.

Solleva i suoi occhi fiacchi appena la mia ombra si arrampica sulla sua figura. Reprime un sospiro, si indispone facilmente quando deve abbassare il volume della sua musica. Il viso sembra aver preso un leggero colorito rispetto alla scorsa volta, le narici sono arrossate e screpolate. Babbo Natale deve aver perso una sua renna.

«Che vuoi?»

Preferisco immergermi nella condensa modellata sul coperchio del bicchiere pur di non sostenere il suo sguardo e ammettere una verità che sto cercando di respingere con tutto me stesso.

Mi importa di te.

«Ti ho preso latte caldo con miele e zenzero. Da piccolo, quando avevo l'influenza, mia madre me lo faceva sempre e mi sentivo meglio e nulla... ho pensato di prendertelo.»

Mi cede una smorfia riluttante. Glielo lascio vicino per poi inclinarmi su di lui. Flette il corpo di lato per non impigliarsi nel mio contatto ma riesco comunque ad acciuffare il margine del suo cappuccio e calarglielo in testa. «Copriti bene che sei ancora raffreddato e potresti evitare di fumare? Ah, e se mi accorgo che salti le lezioni oggi, ti faccio saltare la testa!»

Poso gli occhi nei suoi, le gambe cedono, scivolo accanto a lui dominato da energie esterne che hanno deciso di dirottare il mio libero arbitrio.

«Quanto rompi il cazzo tu» mormora.

Un bel respiro. È dura trattenersi dal dargli una testata sui denti.

Rubo il suo auricolare per infilarlo nel mio orecchio. Sbircio il suo display, seleziona una canzone. Green day.

«Non li ascolto ma so chi sono!» mi difendo dalla sua possibile ramanzina sui miei gusti musicali.

I lost my way, oh baby, this stray heart

Went to another

Can you recover, baby?

Oh, you're the only one that I'm dreamin of...

This could be nothingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora