33.Íοίην

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Le lacrime corrono lungo le guance, mi sfugge un singhiozzo.

Chiedo ad Alfie se sa qualcosa di Ian con la scusa che dovevamo vederci ma mi riferisce quello che già so: ha saltato pallavolo per l'incontro col gruppo di matematica. Nell'impulso scrivo anche a Chase, pentendomene il secondo successivo. Non si parlano da giorni e la sua ultima frase mi asciuga la poca saliva in bocca.

"Strano, dovresti sapere dov'è il tuo fidanzatino. Tranquillo non esce più con me".

Che testa di cazzo.

Uno sto scrivendo salta fuori dalla chat di Ian...mi invia una serie di faccine che ridono sguaiate.

La mia mano si arrampica al petto e stringe il tessuto del maglione, avverto il cuore accartocciarsi in un opprimente fitta perpetua.

No. Non sei tu. Usi poche emoji e se le usi te ne basta una. E questa non la scegli mai.

"Ho trovato Chaz a casa, abbiamo avuto un litigio"

"Vado a casa e sono da te"

"Lo sai che Chaz è peggiorato?"

Lascio il trolley nel vialetto e mi precipito verso casa sua col torace compresso in una gabbia spinata.

La porta di ingresso è semiaperta, uno spiraglio di luce si estende al pianerottolo e si rispecchia nelle mie iridi.
Riconosco la sua voce, una goccia gelata lungo la nuca.
Apro la porta con mano tremolante e fitte intercostali insostenibili.
Pezzi di vetro scricchiolano sotto le mie suole, tra sconosciute macchie di sangue che imbrattano il pavimento e lo scompiglio che regna nella stanza.

Ian è chino su Chaz, seduto con le spalle alla parete. È in stato di incoscienza. Ha le palpebre serrate, gocce di sudore ricoprono la fronte, luccicano in scie lungo il suo collo. La manica della maglia è arrotolata in alto, un laccio stringe il suo braccio e delle cicatrici datate spiccano dalla pelle diafana. Una siringa poco distante da lui, con residui scuri, cattura la mia attenzione.

Ian sussurra il suo nome, pizzica la pelle delle sue guance per ottenere qualche reazione. Posa le dita sul polso per coglierne i battiti mentre il mio rimane fermo, quasi a permettergli il silenzio assoluto che merita.

Lo ruota su un fianco, sostiene la testa tra le sue mani, i suoi occhi vigilano qualsiasi fremito sul corpo del fratello.

È fin troppo calmo. Non trema, non manda giù in groppi l'agitazione.

Sente il mio sguardo su di lui, alza il viso.
Un lieve giramento di testa, l'aria inizia a mancare.
Una chiazza bluastra si estende sotto l'occhio destro e quelle labbra che ho baciato innumerevoli volte hanno un brutto spacco.

Il mio cuore comincia a spaccarsi.

«Ian...» Le mie gambe si muovono verso di lui.

«No! Attento a dove cammini. Resta lì» impone.

La sirena di un' ambulanza si sta avvicinando.

Più il mio cervello collega, più uno strazio che non mi appartiene si fa largo dentro l'animo. Ian sta soccorrendo il fratello in overdose.

Ian infila la giacca pesante, prende le chiavi della macchina.

«Ti accompagno a casa» asserisce scostante.

Dentro di lui c'è una tempesta pronta a detonare. Lo sento. Sta per trascinare anche me nel turbinio senza fine.

Mi limito solo a fissarlo e a farmi guidare con la mano stretta nella sua, sconnesso da questa realtà.

«Resto con te» sostengo con fermezza, prima che mette in moto l'auto.

«No.»

«Non era una domanda.»

This could be nothingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora