8. Do you even care if I die covered in blood?

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Mentire era tutto ciò di cui mi nutrivo, mi teneva in vita e al tempo stesso mi ammalava, trascinandomi verso un abisso infuocato senza possibilità di redenzione.



Mentire era tutto ciò di cui mi nutrivo, mi teneva in vita e al tempo stesso mi ammalava, trascinandomi verso un abisso infuocato senza possibilità di redenzione

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La misera esistenza di cui ero macchiata aveva portato la mia mente a naufragare molte volte verso l'idea della morte, soprattutto negli ultimi anni.
Inutile negare che avevo pensato di frequente a come sarebbe stata la mia, fino ad arrivare al punto di architettarla nei minimi dettagli.

Non avrei voluto morire lentamente e tra atroci sofferenze, ma qualche volta le lamette con cui mi depilavo le gambe avevano avuto un incontro ravvicinato con i miei polsi sottili, e l'impulso di scavare sempre più a fondo fino a recidermi entrambe le arterie radiali era stato bloccato solo dall'immagine che era ormai impressa dietro i miei occhi: il mio cadavere in una pozza di sangue, ritrovato dopo giorni da uno sconosciuto a cui non sarebbe importato nulla di me, che avrebbe rubato i pochi dollari che tenevo di scorta dentro il cassetto della biancheria e mi avrebbe scaricata in un qualsiasi cassonetto di qualche sudicio vicolo.

Perciò ero giunta alla conclusione che, quando sarebbe arrivato il momento giusto, me ne sarei andata mandando giù una trentina di pillole con una bottiglia di tequila, e avrei accettato il sonno eterno andandomene gradualmente e nella più assoluta pace finché il mio centro del respiro rimaneva paralizzato da qualche benzodiazepina.

Mentre la mia morte era un capitolo ancora aperto, quella delle persone che avevo amato era più che chiuso.
Non mi rimaneva più nessuno da piangere, erano solo polvere impalpabile libera nel cielo, mentre le mie ali imbrattate di pece non mi permettevano di abbandonare la mia vita sempre più corrotta.

Certo, avevo pensato spesso alla morte, ed ero giunta alla conclusione che la mia non mi spaventasse tanto quanto quella delle persone a me care.

Mark Frost non rientrava di certo in quella categoria, e vedere il suo corpo privo di vita ai miei piedi mi rese agghiacciata ed elettrizzata allo stesso tempo.

Rimasi immobile a fissare il cadavere per un tempo indefinito, le orecchie mi fischiavano e percepivo tutto ciò che stava succedendo attorno a me fastidiosamente rallentato, come fossi in una bolla di sapone che sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro.
Dopo aver sentito lo sparo, si erano tutti ammassati verso la porta di uscita e la musica di sottofondo si era interrotta permettendomi di sentire unicamente il loro noioso borbottio unito a qualche grido.

Continuavo a fissare quella pozza rosso cremisi che mi incantava in modo perverso, a tal punto da chiedermi come sarebbe stato affondarci dentro una mano.
Nonostante la pallottola gli avesse trapassato il cranio da parte a parte, sperai avesse provato un dolore smisurato nei pochi attimi precedenti il suo ultimo respiro.
A Mark piaceva farmi gemere dal dolore fino a farmi sanguinare le natiche, per poi raccogliere i rivoli di sangue con le dita.
Ora supponevo fosse finalmente arrivato il mio turno di godere della sua sofferenza.
Senza rendermene conto e senza minimamente rifletterci, mi inginocchiai accanto al corpo di Mark e poggiai le mani per terra accanto al cadavere.
Feci scivolare lentamente la mano più vicina alla sua testa verso il liquido viscoso spanto sul pavimento. Le mie dita vennero bagnate dalla sostanza ormai tiepida, e quando mi portai la mano davanti al viso per osservare più da vicino la mia carne sporca, prese a colarmi giù per il polso. L'istinto di portarmi alla bocca le dita per sentire che sapore avesse un briciolo della mia libertà si insinuò dentro di me subdolo, ma quando sentii una voce distante chiamarmi, mi fermai.

𝚩𝐋𝚨𝐂𝚱𝐎𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora