18. There's a 'U' in murderer

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Potrei anche pensare di essere in grado di amare, in un modo senz'altro perverso, malato e licenzioso. Ma poi dovrei accettare ogni tuo lato oscuro lasciando che mi infetti fino alla sepsi, e allora nemmeno la luce potrebbe più salvarmi.



Non credevo mi sarei mai ritrovata ammanettata sui sedili posteriori di un'auto in tutta la mia vita, ma quando avevo conosciuto Ethan avevo dovuto ricredermi

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Non credevo mi sarei mai ritrovata ammanettata sui sedili posteriori di un'auto in tutta la mia vita, ma quando avevo conosciuto Ethan avevo dovuto ricredermi.
Allo stesso modo, non credevo sarei mai stata arrestata.
Dovetti ricredermi anche su quello.

Il tiepido sole mi aveva accecata per tutto il viaggio verso la stazione di polizia, i polsi mi prudevano a contatto con il metallo e le mani si erano intorpidite, schiacciate tra la mia schiena e i sedili impolverati.

Per tutti quegli infiniti chilometri che mi avevano separata dalla centrale, avevo ignorato i discorsi stupidi e superficiali dei due agenti seduti davanti a me, concentrandomi solo sul rimanere zitta e non mettermi ulteriormente nei guai.

C'era stato sicuramente un errore.
Il detective Gibbs era sicuro chiunque avesse sparato a Mark avesse voluto in realtà uccidere me, quindi come potevo averlo ucciso io?
Ero stata tutto il tempo di fronte a lui, mentre lo sparo era arrivato di lato, probabilmente dalla folla al piano terra.
Non potevo essere stata io in alcun modo, e c'erano mezza dozzina di uomini che avrebbero potuto confermarlo.
Peccato a nessuno di loro sarebbe mai importato volermi tirare fuori dai casini.
Forse solo Jack avrebbe potuto avere il coraggio di confermare la mia versione di fronte ad un poliziotto, ma non lo avrei mai chiamato.
Aveva già avuto abbastanza guai con la giustizia e aveva scontato la sua pena anni prima, non lo avrei mai tirato in ballo in una situazione come quella.

Quando mi avevano portata in centrale, avevo immediatamente chiesto un avvocato.

Le celle della stazione di polizia non erano come nei film, nel bel mezzo di un corridoio con una guardia seduta ad un tavolo.
Quella in cui mi avevano spinta senza alcuna premura era dentro una stanzetta arredata solamente da una scrivania libera, aveva un piccolo letto a ribalta più scomodo del pavimento in cemento ruvido e un lurido wc in bella vista.
Ero chiusa lì dentro da ore, senza orologi e senza finestre da cui potessi capire quanto tempo fosse effettivamente trascorso dal mio arresto.

Mi avevano perquisita, prima di chiudermi in cella, e mi avevano portato via solo il cellulare semplicemente perché era l'unico oggetto che possedevo.
Così mi ero seduta su quel materasso freddo e sporco, chiedendo di poter avere un avvocato.
Inutile dire che non fosse mai arrivato.

Dopo quelle che credevo essere state ore di attesa, avevo abbandonato la postura composta di chi sperava si sarebbe presto dovuto alzare per andarsene, e mi ero sdraiata sul letto sporcato da chissà quanti detenuti in chissà quanti modi.

Mentre mi avevano scortata fino alla cella, avevo potuto avere un breve assaggio del tepore in cui la parte della centrale dove lavoravano i poliziotti era immersa. Tepore che quella piccola cella dalle sbarre segnate e quasi arrugginite non aveva mai conosciuto.
Maledissi il pessimo tempismo della polizia di New York nell'avermi ritenuta colpevole di omicidio e sbuffai pensando che non sarei stata presente all'arrivo di Cherry in casa di Nate.
Avrei voluto esserci, poterle fare delle domande e ascoltare quello che invece le avrebbe chiesto Ethan. Ancora una volta, non mi era dato scegliere ed ero costretta ad accettare di non poter cogliere il frutto delle mie ricerche. Speravo Ethan lo avrebbe fatto per entrambi.

𝚩𝐋𝚨𝐂𝚱𝐎𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora