12. Feeding on chaos and livin' in sin

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Quando ero con lei, avevo l'impressione le stelle brillassero più del solito, oscurando la luna e illuminando quello che di più bello avrei mai visto in tutta la mia esistenza.



Quando ero con lei, avevo l'impressione le stelle brillassero più del solito, oscurando la luna e illuminando quello che di più bello avrei mai visto in tutta la mia esistenza

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Passai tutta la notte a guardare fuori dall'enorme vetrata del salotto, incantata dalle luci della città che sembrava sveglia quanto me.

Mi ero sentita in una di quelle palle di vetro da scuotere per far cadere la neve in sospensione sulla miniatura fissata alla base, una di quelle che venivano regalate dopo un viaggio e che venivano messe su una mensola in camera per poter essere viste prima di addormentarsi.
La mia raffigurava sicuramente New York, l'unica città in cui io fossi mai stata.
Immaginavo i fiocchi di neve ormai sciolti nella miscela annacquata ed i piccoli grattacieli irrimediabilmente scoloriti.
Me la figuravo posata sulla mensola di una libreria, tra una candela consumata e qualche libro ingiallito dal tempo.
In quel momento, la mia palla di vetro era stata spostata distrattamente più vicina al bordo del ripiano impolverato, e sentivo che se mi fossi spinta troppo in là sarei precipitata infrangendo il piccolo mondo in cui ero stata rinchiusa.
Se mi fossi salvata avrei potuto scappare, ma dove?
L'esperienza di diceva che a cadere da certe altezze, ci si distruggeva senza speranza.

Ed era proprio così che mi ero sentita per tutta la notte.
Senza speranza.
Si diceva sempre la speranza fosse l'ultima a morire ma nel mio caso era morta prima di me, lasciandomi sola in un corpo che avrei desiderato se ne fosse andato con lei.

Quando finalmente Ethan si svegliò erano le otto di mattina ed io avevo già bevuto quattro caffè per riuscire a non addormentarmi.

Appena alzato, il detective era venuto verso di me, che ero ancora seduta per terra ad osservare il cielo terso da cui era da poco spuntato il sole.

«Non hai dormito?» chiese stupito nel vedermi in quella posizione.

«No, non avevo sonno» mentii.

«D'accordo. Io mi faccio un caffè e aspetto torni Nate, poi me ne vado» rispose con un'alzata di spalle dirigendosi verso la macchina del caffè in cucina.

Mi alzai e lo seguii portandomi dietro la mia tazza e poggiandola sul ripiano in marmo in attesa di riempirla nuovamente.

«Puoi andartene anche adesso, non ho bisogno del babysitter» sbuffai stizzita.

«Si invece, ti ricordo che qualcuno vuole ancora farti fuori»

«E che differenza fa che tu o Nate siate con me?»

«Forse la differenza è che io sono addestrato ad uccidere in centinaia di modi diversi e Nate...» il suo sguardo si fissò sulla tazza che stava riempiendo mentre rifletteva «Beh, Nate ha un ottimo gancio destro» concluse con l'ennesima alzata di spalle.

Fantastico.

«Quindi adesso ti interessa proteggermi?» ignorai volutamente che mi avesse appena detto di poter potenzialmente uccidere qualcuno per proteggere me. Ci avrei creduto solo se lo avessi visto e supponevo non sarebbe mai successo, perciò aveva gran poca importanza.

𝚩𝐋𝚨𝐂𝚱𝐎𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora