6 (Angela)

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Erano trascorsi ormai più di tre mesi dal nostro arrivo in Svezia. Marco era sempre più preso dal suo progetto. Ogni due settimane, Marco andava in trasferta ad Oslo per tre giorni, e io rimanevo da sola a casa. Ma anche quando Marco lavorava in Svezia, non avevamo molto tempo per noi stessi. Terminava tardi al lavoro e inoltre, dopo il nostro trasferimento a Stoccolma, si doveva sobbarcare sia il viaggio di andata a Kista la mattina e, soprattutto, il viaggio di ritorno la sera. Io avevo creduto che i miei problemi di ambientamento dipendessero solamente dal vivere a Kista. Avevo sperato che a Stoccolma sarebbe stato tutto diverso. Ma così non fu. Il brutto tempo, giorni e giorni senza vedere il sole, mi metteva di malumore. Ma più della pioggia, ciò che mi angosciava era la mancanza di luce. Le giornate invernali erano buie, infinite e cupe.

Avevo provato per i primi mesi a trovare un'occupazione che rendesse meno noiose le mie giornate. Ogni sforzo sembrava vano. Sembrava che nessuno in Svezia avesse bisogno di un architetto specializzato in interni. Solo grazie alle conoscenze di Thomas e Lisa avevo avuto un contratto di collaborazione con uno studio di architettura. Ma era una collaborazione saltuaria, che mi impegnava solo qualche ora settimanalmente. Non appena avevo qualcosa da condividere, mi precipitavo allo studio per cercare di socializzare, ma anche questi tentativi erano destinati all'insuccesso. Ero sempre stata convinta che gli svedesi fossero aperti e ben disposti con gli altri e invece mi ero dovuta ricredere. O forse ero stata sfortunata e tutti gli svedesi chiusi ed indifferenti li avevo incontrati io. Il solo dipendente dello studio che mi prestava un po' di attenzione era un ragazzo di nome Erik.

«Perché i miei progetti vengono sempre scartati?» chiesi ad Erik un pomeriggio mentre eravamo usciti a bere un caffè da Starbucks. «Sembra che ogni volta il cliente preferisca un'altra soluzione rispetto alla mia. Ho ragione?»

«Penso sia un caso, non una regola» rispose Erik, ma non ne sembrava convinto neppure lui.

«Sarà vero, ma avrei bisogno che un mio lavoro venga preso in considerazione e potessi curarne la realizzazione. Il non fare nulla mi sta portando alla depressione.»

«Cosa fai durante il giorno, quando non lavori per lo studio, intendo.»

«Leggo, guardo qualche film in televisione e dormo», risposi.

«Tuo marito?»

«Lavora. A volte anche di sabato e di domenica.»

«Non è un comportamento tipico degli svedesi. Gli svedesi sono molto attenti e rigorosi con il loro tempo libero.»

«Già. Forse non lo sono altrettanto con quello degli altri.»

Erik sospirò. «Se ti posso essere utile in qualche modo.»

«Grazie. Sei l'unica persona dello studio che mi dedica più di cinque minuti del proprio tempo.»

Tornai a casa rassegnata. Erano le tre del pomeriggio ed era già buio come fosse notte. Marco era ad Oslo con Thomas e George. Chiamai Lisa. «Usciamo stasera? Portami in qualche posto, non importa dove. Devo uscire di casa perché non riuscirei a sopportare la notte da sola.»

«Mi organizzo con la babysitter. Chiama anche Jenny nel frattempo. Prendiamoci una serata solo per noi» rispose entusiasta Lisa.

Lisa ci portò in un locale dove ad una certa ora si sarebbe esibito un gruppo musicale. Ci bevemmo una prima birra e ne ordinammo una seconda.

«Grazie amiche» dissi, «stavo impazzendo.»

«Dobbiamo uscire più spesso la sera», disse Lisa. «Specialmente quando gli uomini sono ad Oslo.»

«Vero» confermò Jenny, «facciamolo diventare un appuntamento fisso.»

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