8 (Angela)

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C'è sempre un momento che possa essere definito come l'inizio. Un accadimento casuale, una scelta consapevole o inconsapevole che innesca una serie di eventi a cascata che diventano ineluttabili. È difficile individuare un inizio nel momento in cui lo si vive, ma, passato del tempo, ripercorrendo all'indietro la propria esistenza si possono facilmente comprendere quali siano questi punti di singolarità.

In questo caso potrei, probabilmente con qualche possibilità di successo, iniziare ad elencare le difficoltà che stavo attraversando in quel momento. Parlare del mio difficile inserimento nella società svedese, del maltempo che sembrava non dare mai tregua, delle trasferte norvegesi di Marco, del poco tempo che riuscivamo a trascorrere insieme anche mentre eravamo entrambi a Stoccolma. Tutte cose decisamente reali, ma che, onestamente, non incisero più di tanto su quanto accadde.

In quel pomeriggio di novembre ero passata dallo studio di architettura per farmi consegnare la documentazione necessaria per la formulazione di una proposta di arredamento per una villa a due piani. Sarà un'altra proposta che non verrà accolta, pensavo tra me e me mentre salivo le scale dell'ingresso del palazzo che ospitava lo studio di architettura. Il mio plico di documenti giaceva presso il banco di ricevimento all'ingresso degli uffici. La receptionist gentile me lo porse accompagnando il gesto con un sorriso amichevole. Recuperato il plico, mi apprestavo a lasciare lo studio per tornarmene a casa, quando dalla porta di un ufficio sbucò Erik che aveva avvertito la mia presenza riconoscendo la mia voce o forse la mia pronuncia della lingua inglese. Percorse il corridoio che ci separava quasi correndo. Quando mi fu vicino mi abbracciò con entusiasmo.

«Dobbiamo festeggiare» esordì.

Lo guardai dubbiosa non comprendendo il suo atteggiamento gioioso: «Per quale motivo dovremmo festeggiare?».

«Una tua proposta è stata accettata e verrà realizzata» continuò.

«Quasi non ci credo» fui solo capace di rispondere.

«È presto per gli alcolici, ma usciamo almeno a bere un caffè» propose.

Così facemmo. Mi pareva bello che fosse così felice per il mio primo successo. Al bar parlammo a lungo. Erik era una delle poche persone svedesi con cui mi sentivo veramente a mio agio. Se dovessi provare a ricostruire attimo per attimo quel pomeriggio, non ne sarei capace. Ricordo solo un mio fiume di parole con cui descrivevo il mio malcontento, la mano di Erik che stringeva la mia sul tavolino del bar, l'invito a salire un attimo a casa sua prima di tornare allo studio per recuperare non so quale documento che si era scordato di portare con sé, il suo bilocale solo parzialmente arredato, il letto con una coperta di ciniglia azzurro intenso, Erik che mi abbracciava e mi baciava ed infine noi due che scopavamo come fossimo due amanti.

Questo, a posteriori, posso dire con certezza che fu l'inizio di tutto ciò che accadde dopo. Mentre tornavo a casa iniziai a rendermi bene conto di quanto avessi fatto. Avevo tradito Marco per la prima volta da che eravamo sposati. Non mi sembrava di sentirmi né affranta né in colpa. Era come se fosse successo ad un'altra persona. Non sapevo spiegarmi perché lo avessi fatto, ma mi pareva potesse essere considerata solo un'innocente evasione dalle mie problematiche quotidiane. Invece era stato l'abbattimento di una barriera, di una linea che avevo giurato di non oltrepassare mai con la mia promessa di matrimonio.

La sera Marco arrivò come al solito tardi e affranto dall'attività lavorativa. Non mi chiese nulla a proposito di come fosse andata la mia giornata e io mi guardai bene dal farlo a mia volta. Non feci alcun accenno a quanto era successo, neppure al fatto che ero passata dallo studio. Nei giorni successivi, ogni volta che il ricordo di quanto fosse accaduto quel pomeriggio mi assaliva, cercavo disperatamente di giustificare o di illudermi riguardo al mio comportamento. Ma ben presto mi resi conto che stavo cercando di trovare delle scuse a qualcosa che di scusabile aveva ben poco. Allora feci la cosa peggiore che si può fare in queste situazioni. Decisi che si era trattato solo di un'innocente evasione e che, come tale, andava ignorata e ben presto dimenticata. Non c'è niente di peggio di voler minimizzare e dimenticare qualcosa per finire col creare un mostro in sé stessi.

I lavori di realizzazione del mio progetto mi impegnarono un paio di settimane. Dopo di che la mia vita continuò ad essere quella noiosa di sempre. Durante quelle due settimane in cui necessariamente dovetti frequentare più assiduamente lo studio, ignorai volutamente Erik e lo stesso fece lui con me. Probabilmente aveva ottenuto quel che voleva ed io, come ho detto, avevo nascosto emozioni e senso di colpa ben in fondo al mio essere.

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