7 (Marco)

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Andare in trasferta ad Oslo una settimana sì ed una no all'inizio mi pesava, ma ora mi dava un certo sollievo. Anche ora che il progetto si era stabilizzato e procedeva secondo i piani, a Stoccolma o, meglio, a Kista, subivo giornalmente le pressioni della dirigenza. Quando mi recavo ad Oslo passavo dall'altra parte della scrivania. Ero io a poter far pressione ai nostri partner norvegesi perché si impegnassero al massimo e rispettassero le scadenze. Dopo alcuni problemi di inizio lavori, i norvegesi avevano sostituito il loro capo progetto. Ora l'attività era gestita da Eli. Non avevo ancora ben compreso se Eli fosse il diminutivo di Elise oppure di Elisabeth, ma quello che avevo potuto constatare era stato un deciso cambio di passo dal punto di vista progettuale. Eli era una giovane donna, poco più che trentenne, molto bella, dai capelli biondi e dagli occhi celeste, il prototipo di quella che un italiano medio si immagina essere una donna nordica. Malgrado la giovane età, era già divorziata. Le voci di corridoio sostenevano che il suo matrimonio era naufragato a causa del fatto che aveva privilegiato la sua carriera, ma si sa, la gente dice un sacco di cose senza sapere come siano realmente andate. Con lei mi trovavo benissimo. Il nostro rapporto lavorativo era franco e collaborativo.

A inizio dicembre andammo in trasferta ad Oslo solo io e George. Thomas sarebbe stato impegnato in un di quelle riunioni plenarie in cui si osservano gli andamenti societari globali e quindi rimase a Stoccolma. Partimmo come al solito il lunedì e, arrivati ad Oslo, dedicammo il resto della giornata a discutere dell'andamento del progetto. La sera cenammo in hotel e George non sembrava al massimo della forma. Il suo colorito paonazzo rivelava i sintomi dell'influenza e di una febbre elevata. Il giorno successivo se ne stette in hotel per riposarsi ed essere in grado di affrontare il mercoledì il viaggio di ritorno. Il martedì partecipai solo io alle riunioni con i norvegesi. Quando Eli mi chiese quali piani avessi per la serata, risposi: «Penso di cenare in hotel e di andare a letto presto».

«Se ti invitassi a cena?»

«Penso accetterei; accetterei di buon grado.»

Se devo essere sincero, nel rispondere alla sua domanda, non avevo avuto alcun pensiero malizioso. Mi era sembrata solo una gentilezza di lei nei miei confronti, visto che sapeva avrei trascorso la serata in solitudine.

«Perfetto, passo a prenderti in hotel alle sette; sai che qui in Norvegia si mangia presto la sera.»

Tornai in hotel, mi rinfrescai e mi preparai per uscire a cena. A mano a mano che passavano i minuti e si accorciava il tempo che mi separava dall'arrivo di Eli, i miei pensieri si fecero sempre meno innocenti. Non che pensassi chissà cosa, ma l'idea di uscire a cena con una bella donna che non fosse mia moglie dopo quasi dieci anni tra fidanzamento e matrimonio, mi eccitava.

Eli arrivò puntuale. Dopo un breve tragitto in auto, raggiungemmo il ristorante presso cui aveva prenotato un tavolo. Mangiammo veramente bene, con una qualità del cibo non paragonabile a quella del ristorante in hotel. Mentre cenavamo, notai il suo sguardo fisso su di me, con quei grandi occhi celesti. Terminata la cena, Eli mi chiese senza esitazione: «Ti andrebbe di venire a bere qualcosa a casa mia?».

Di fronte a quella richiesta rimasi senza parole per qualche minuto, poi risposi sottovoce: «Sono sposato. Vorrei, ma non penso di poterlo fare».

Eli sorrise. «Siete proprio sentimentali voi italiani. Si tratterebbe solo di sesso, non di giurarci amore eterno. Tu mi piaci. Se io ti piaccio, perché non farlo?»

Non risposi. Eli comprese che insistendo mi avrebbe messo in imbarazzo. Pagai il conto ed Eli mi riportò in hotel. «Magari una delle prossime volte» disse mentre mi salutava e mi diede un bacio che sembrava volesse atterrare sulla guancia, ma all'ultimo momento virò sulla bocca.

Quella notte dormii poco e male. Ero convinto di aver fatto la scelta giusta, ma già rimpiangevo il sesso mancato con Eli, e questo pensiero mi tormentò nei giorni seguenti.

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