29 (Marco)

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Quando Angela si metteva in testa una cosa era quasi impossibile convincerla a lasciar perdere. O forse ero io incapace di impormi. Nonostante avessi un forte presentimento che ciò che stavamo per fare avrebbe portato scompiglio nel nostro rapporto, alla fine cedetti e accettai di riprovare il piano che avevamo architettato.

Quando arrivammo al locale, c'era già un buon numero di avventori. Questa volta, forse per evitare di ripetere l'incidente della sera precedente, Angela fu meno selettiva. Appena mezz'ora dopo il nostro arrivo, la vidi lasciare il locale con un uomo: alto, biondo, apparentemente intorno ai quarant'anni. Decisi di uscire anch'io e di correre a casa in anticipo per precederli. Quando raggiunsi la nostra abitazione, entrai, andai direttamente in camera da letto e mi rinchiusi dentro a chiave, aspettando con ansia il loro arrivo.

Passarono circa venti minuti. Sentii dei rumori provenienti dall'ingresso. Trascorsero altri dieci minuti e poi Angela e l'uomo fecero la loro comparsa dall'altra parte della parete. Si baciarono, dopo di che entrambi si spogliarono e si distesero sul letto.

Se mai avessi avuto un dubbio che vedere mia moglie fare sesso con un altro uomo potesse eccitarmi, me lo tolsi subito. Mentre i due scopavano, provavo solo un dolore acuto che mi impediva quasi di respirare. Con il passare dei minuti, il dolore si trasformò in disprezzo e poi in rabbia. Non riesco a dire con certezza quanto sia durato l'amplesso, forse solo pochi minuti, ma per me sembrò un'eternità. Quando tutto ebbe fine, l'uomo si vestì e Angela lo accompagnò ancora nuda fino alla porta. Io rimasi immobile, quasi paralizzato. Angela tornò in camera e si lasciò cadere sul pavimento, piangendo e coprendosi la bocca con la mano sinistra. Restammo così entrambi per alcuni minuti. Infine, trovai la forza di alzarmi e uscire dalla camera da letto. Entrai con rabbia nella camera degli ospiti. Angela sollevò la testa e mi guardò, senza smettere di piangere. Non c'era spazio dentro di me né per l'amore né per la compassione. C'era solo rabbia. L'insulto che le urlai riecheggiò nella stanza come se rimbalzasse tra le pareti. Le sputai addosso e me ne andai di casa lasciandola sola, accovacciata in lacrime sul pavimento.

Girovagai per tutta la notte nel freddo di Stoccolma senza una meta precisa. Nella mia mente si agitavano mille pensieri, nessuno dei quali positivo. Con il passare delle ore, la rabbia e l'odio iniziarono ad attenuarsi. Provai a razionalizzare quanto era accaduto, ma mi risultava estremamente difficile mettere a fuoco i miei pensieri. Dopo aver percorso chilometri a piedi, mi ritrovai vicino a casa proprio quando stava albeggiando. Esitai per un momento, poi decisi di entrare.

Angela era immobile, raggomitolata sul divano del soggiorno, indossando solamente una maglietta. Era sveglia. I suoi occhi gonfi e arrossati facevano pensare che avesse pianto a lungo, probabilmente per tutta la notte. Rimasi in piedi a guardarla. Mi sembrava quasi un'estranea che si fosse introdotta furtivamente in casa mia.

«Stare insieme distrugge ad entrambi la vita. È meglio che ognuno di noi prosegua per proprio conto» dissi.

Angela non rispose. Rimase in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, come se solo in quel momento si fosse resa conto dell'abisso in cui eravamo sprofondati. Mi diressi in camera da letto e iniziai a mettere alcuni dei miei vestiti in due borsoni da viaggio.

«Ci siamo spinti troppo oltre» dissi mentre cercavo le chiavi dell'auto e mi apprestavo ad abbandonare l'abitazione.

«Sì, è vero» confermò Angela, ma sembrava disconnessa dalla realtà, come se a malapena si rendesse conto di quanto stesse accadendo.

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