~ Chapter 8 ~

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Brandon non si dava pace da tre giorni. Eliza non tornava a casa,le sue amiche erano chiuse in un silenzio tombale. A Kiefer aveva chiesto dei giorni per assentarsi dal lavoro.

Brandon era preoccupato,aveva paura di perderla e adesso per il suo essere infantile stava per perderla davvero.

Si sentiva perso,non stava mangiando e non stava curando il suo aspetto.

Il quarto giorno,una sua cara amica lo contattò e gli disse di andare a casa sua. Eliza si trovava da lei.

Brandon salì immediatamente sulla sua moto e si recò a casa dell'amica di Eliza.
Quando arrivò davanti la porta tremava,sicuramente lei lo voleva lasciare.

L'amica di Eliza aprì la porta dopo pochi minuti, incrociò le braccia e lo guardò storto.

"Lo faccio solo per lei e per evitare che tu vada a fare una denuncia di scomparsa alla polizia, ma resti uno stronzo."gli disse

"Lo so,voglio vederla."
Brandon era veramente sconvolto,occhi arrossati e un principio di barba.

La ragazza lo accompagnò davanti una camera al primo piano.

"È a letto da giorni,spezzale ancora il cuore e ti verrò a cercare ovunque."gli disse

Brandon aprì la porta,Lisa era distesa a letto,gli dava le spalle.
Si tolse le scarpe e si stese vicino a lei,l'abbracciò.
Lisa riconobbe subito il profumo della pelle di Bran,rimase immobile mentre lui iniziò a parlare.

"Perdonami amore mio. Sono solo un coglione...Vorrei poter non aver detto quelle cose,vorrei tornare indietro."

Lisa si voltò di scatto,i suoi bei occhi erano gonfi e lucidi.

"Non puoi risolvere sempre tutto così Brandon. Non puoi...Dovresti combattere i demoni che hai dentro. Io ti voglio aiutare ma devi volerlo anche tu."

"Ho dei profondi problemi psicologici rispetto la morte di mio padre ma non voglio che influenzino la mia vita e la nostra relazione.-Accarezzò il ventre di Eliza.-Se c'è un bambino lo cresceremo insieme,con tutto il nostro amore."

"Non c'è Bran...ho fatto le analisi."

"Oh!"Brandon rimase scioccato

Nella sua mente si era talmente abituato all'idea di avere un bimbo che ci era quasi rimasto male.

"Non era destino e forse neanche per noi."si divincolò dalle sue braccia e si alzò.

Lui fece lo stesso,la guardava con gli occhi sgranati.

"Non lo puoi dire davvero."

"Bran non credo tu prenda seriamente la nostra storia."

"Ah no? Ma se ho deciso di vivere con te? Tutto quello che faccio e voglio fare è con te."

"Non ti voglio dare dei limiti."

"Ma tu non lo fai! Che diamine ho fatto?"Brandon iniziò a piangere come un bambino

A Lisa si spaccò il cuore,lo amava troppo.

"Dovresti andare in terapia Bran."gli disse avvicinandosi a lui

Brandon si mise in ginocchio e abbracciò le gambe di lei continuando a piangere.

"Se mi lasci sono perso,ho bisogno di te nella mia vita e tu di me. Andrò in terapia ma non mi lasciare."

Eliza si inginocchiò con lui,gli mise le mani sulle guance e gli levò le lacrime, mentre Brandon continuava a singhiozzare,poi lo baciò e da quel bacio ripartì tutto.

* * * * * * * * * * * * * * *

I due ragazzi diedero tempo al tempo,il loro amore era forte e si stava rinsaldando,anzi erano più uniti che mai e ormai anche le famiglie di entrambi si erano rassegnate al fatto che il loro amore era vero e duraturo.

Brandon aveva iniziato la terapia,ne stavano uscendo fuori molte cose.
Durante una seduta,gli tornò in mente un ricordo,era passato un anno dalla morte del padre.

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A Seattle c'era il sole, quel giorno.

La testa posava sulle braccia che circondavano le gambe, portate al petto, le spalle erano ricurve, la schiena creava un arco perfetto. Era immobile. Ascoltava in silenzio le voci che provenivano dal salone, dove si stava celebrando il primo anniversario della morte di suo padre. Era passato un anno. Nella mente aveva ancora le immagini della bara bianca ricoperta di ghirlande di fiori.
Le dita stringevano con forza il tessuto dei pantaloni all'altezza delle ginocchia. Stringeva i denti. Perché? Odiava tutto questo,odiava suo padre che lo aveva lasciato.

Dei passi si erano fermati davanti alla sua porta. Sua madre stava parlando con qualcuno. Non voleva sentire. Non voleva vedere nessuno.
«Non credo che le parlerà.»
«Mi faccia almeno provare.»
La porta della camera venne aperta. Un uomo ne varcò la soglia, guardò quel bambino seduto sul letto, chiuso in se stesso. Era un concentrato di comprensibile mutismo, aggressività e tristezza. Gli si strinse il cuore. Si guardò intorno alla ricerca di qualche sedia. Non c'era. Sedette allora sul bordo del letto, il materasso si abbassò sotto il suo peso.

Sul pavimento della camera vi erano giocattoli rotti. Le bambole di Shannon avevano tutte qualche arto staccato, visi sorridenti pasticciati con i pennarelli scuri e teste dai capelli biondi tagliati in modo riprovevole. Tra il baule dei giochi e la piccola libreria, vi erano dei peluche accatastati gli uni sugli altri. Dalle cuciture sfilacciate fuoriesciva ovatta.

Il bambino era riuscito anche a strappare parte della carta da parati in un angolo, facendola poi tutta a pezzettini e buttandola senza grazia.

«Ciao, Brandon.» disse piano, con voce gentile.
Lo guardava e non ottieneva nessuna reazione.
«Mi chiamo Dan Inosanto, sono...ero un allievo di tuo padre. Tua madre mi ha detto che non parli con nessuno da un anno, è vero? Ho saputo anche che a scuola passi più tempo nell'ufficio del preside che nella tua classe. Cattiva condotta. Tuo padre vorrebbe tutto questo?»

Brandon alzò di scatto la testa. Aveva occhi grigi e una voglia matta di spaccare il mondo a mani nude. Il viso univa in sé la bellezza occidentale della madre e quella orientale del padre.

«Comprendo il tuo dolore. Posso aiutarti a incanalare tutta questa rabbia nel Jeet Kune Do, se vuoi. Te lo garantisco.»

«Tu non mi puoi garantire niente, perché non hai niente da garantire.»
Brandon tornò a parlare dopo un anno. Le sue parole erano pregne di cattiveria. L'uomo non si scompose minimamente. Era una reazione prevedibile, giusta. Sospirò. Si alzò dal letto, raggiunse a passi lenti la porta socchiusa. Il bambino lo seguì con lo sguardo, le sopracciglia aggrottate e un'espressione imperscrutabile in viso. Voleva che se ne andasse al più presto. Voleva stare solo.

«Tutti dobbiamo affrontare i demoni che abbiamo dentro, Brandon. Si possono chiamare in tanti modi: paura, odio, rabbia. Se non riusciamo a sconfiggerli, cent'anni di vita ci appariranno come una tragedia, ma se ci riusciamo, anche un solo giorno di vita potrà essere un trionfo.»

L'uomo lo salutò con un cenno muto della testa, prima di aprire la porta e chiudersela alle spalle.

Una settimana dopo Brandon aveva iniziato ad allenarsi con Inosanto.

Le arti marziali gli avevano salvato la vita.
💭🔚

Nota: C'è molto di Brandon in questo capitolo,la parte finale è proprio il racconto di un suo ricordo pieno di dolore...

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