CINQUE

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Era più o meno fine Aprile e le piogge improvvise erano comuni in quel periodo, così come quel giorno. Le gocce battenti sui vetri delle finestre e le auto che passavano sopra le pozzanghere distraevano i ragazzi in classe.
«Jisung, ti prego, guarda la lavagna, l'ora è quasi finita.» Taehyung richiamò l'attenzione di uno dei suoi alunni e proseguì a indicare con il gesso un grande disegno di una colonna romanica attaccato alla lavagna. «Capite che erano i capitelli scolpiti il loro punto forte.»
Senza neanche volerlo, la campanello suonò e nessuno aspettò un secondo in più per alzarsi e raccogliere le proprie cose.
«Okay, vi lascio liberi, a giovedì.» Taehyung sorrise — e qualche ragazzina si sciolse.
Aspettò che tutti fossero fuori dalla classe per riprendere la sua cartella e scendere al piano inferiore in aula insegnanti. Era l'una e anche Jungkook avrebbe dovuto finire a quell'ora.
Entrò nella stanza solo per vedere Jimin abbottonare il cappotto nero nell'atto di andare via mentre Jungkook dormiva beatamente appoggiato con la testa sulla scrivania.
«Non avevate lezione, oggi?» Taehyung alzò un sopracciglio, sospetto, rivolgendosi chiaramente al biondo, con tono ripugnante.
Già, quella era la scusa che Jungkook si era inventato per Taehyung: dava lezioni di inglese a Jimin a casa di quest'ultimo — peccato che Jimin non sapeva ancora come dire ciao in inglese ma Jungkook non poteva svelare la verità al suo amico altrimenti si sarebbe arrabbiato. Taehyung rimase perplesso all'inizio, ma poi ci credette e pensò che prima accettava quest'amicizia e meglio sarebbe stato per lui. Un'amicizia che lo rendeva alquanto nervoso, però, e soprattutto geloso.
«Di regola sì, ma sembra stanco, non voglio svegliarlo.» Rispose Jimin, senza degnarlo di uno sguardo.
«Mi sembra ovvio, non fai altro che dargli lavoro extra.» Taehyung si allontanò finalmente dalla porta per avvolgere un braccio attorno a Jungkook e scuoterlo leggermente nel tentativo di svegliarlo.
Jimin se ne andò, ignorandolo.

«Jungkook, dai, andiamo a casa.»
Gli si spezzava il cuore nel vederlo così, puntualmente ogni primavera dell'anno, non solo per la quantità di verifiche da correggere, ma anche a causa di alcuni corsi che doveva seguire prima degli esami che l'avrebbero reso un insegnante a tutti gli effetti. D'altronde, era stato assunto in via del tutto eccezionale — in pochi sapevano il vero motivo. Studiava come un pazzo, era troppo giovane per quello, si diceva Taehyung, nonostante fosse solo di due anni più grande.
«Koo, su.» Lo chiamò con un piccolo soprannome mentre gli accarezzava i capelli. Toccandogli la fronte notò fosse calda e ci posò sopra anche il dorso.
«Jungkook, scotti, cavolo. Vieni, andiamo a casa.»
Jungkook aprì gli occhi lucidi e rossi lentamente e si agitò un po'.
«Sshh, adesso andiamo.» Lo aiutò ad alzarsi ed infilarsi il giubbotto e gli prestò anche la sua sciarpa di seta.
A Jungkook tremavano le gambe e sentiva freddo ovunque, la testa gli scoppiava da due ore ormai, non sapeva come aveva retto le sue ultime lezioni.

Taehyung aprì l'ombrello per coprire entrambi dalla pioggia, teneva Jungkook stretto per mano e camminava il più velocemente possibile affinché il minore si trovasse sotto le coperte al più presto.
Notò essersi lasciato alle spalle Park Jimin, ancora sotto riparo nell'atrio di scuola, con una sigaretta in mano, probabilmente aspettando che la pioggia cessasse.
Jimin aspettò un'altra ora, ma l'acqua non faceva altro che cadere ancora più abbondante dal cielo. Sospirò, arreso all'idea di dover camminare per quaranta interminabili minuti sotto la pioggia e senza ombrello. Sistemò lo zaino in spalla, ma poco prima di compiere un solo passo, una voce lo bloccò. «Park Jimin, ancora qui?»
Perché diamine Min Yoongi gli stava rivolgendo la parola?
Sbuffò pesantemente, ma Yoongi non accennava ad andarsene d'accanto a lui e fu costretto a rispondere. «Piove.»
«Lo vedo.»
Seguì un silenzio imbarazzante. Il coraggio che poco prima Jimin aveva trovato per correre sotto la pioggia fino casa era svanito del tutto e guardò le nuvole grigie, irritato.
Yoongi lo notò. «Ho la macchina. Vuoi un passaggio?» Fece ruotare le chiavi dell'auto tra le dita.
«Perché fai il gentile?»
«Perché lo sono.»
«Non con me.»
«Adesso sì. Dai, andiamo.»
Jimin avrebbe volentieri rifiutato, preferiva arrivare a casa bagnato fradicio o addirittura morire lì piuttosto che starsene in macchina con l'insegnante di filosofia, se non fosse che proprio Yoongi aprì il suo ombrello rosso e prese il polso del biondo costringendolo a seguirlo. «Non toccarmi. So camminare.» Lo strattonò.

Anche in macchina, oltre alle indicazioni sulla strada da prendere, entrambi decisero di non parlare. A Jimin piaceva lì dentro, il sedile comodo e l'aria calda in faccia, infondo aveva fatto un'ottima scelta.
«Puoi lasciarmi qui.» Si erano fermati ad un semaforo rosso vicino un piccolo parco giochi dopo una decina di minuti.
«No.»
«Davvero, lasciami qui.» Insistette, odiando come l'altro avesse sempre da ridire.
«Piove.» Rispose Yoongi, utilizzando le sue stesse parole di poco fa.
Jimin si morse la lingua pur di non ribattere. Si sentiva un po' a disagio, non voleva che il suo scontroso collega di lavoro avesse un motivo in più per disprezzarlo una volta scoperto dove abitasse — uno dei quartieri più poveri di Seoul.
Cinque minuti più tardi, infatti, si fermarono nel parcheggio davanti al palazzo malandato. Era l'unica auto presente.
Le guance del biondo andavano a fuoco per la vergogna e perse tutta la sua sfrontatezza.
«Ehm, grazie mille per il passaggio e scusami il disturbo.» Uscì il più velocemente possibile.
«Nessun disturbo.» Mormorò troppo tardi Yoongi. Si assicurò che il minore fosse dentro e sfrecciò via dalla parte opposta.
Jimin era carino quando si imbarazzava, anche se non ce n'era bisogno. Spalancò gli occhi quando si rese conto di quello che aveva appena pensato.

A Jimin batteva forte il cuore mentre chiudeva la porta del suo appartamento dietro di sé. Dio, quanto odiava Min Yoongi. Non sopportava la sua falsità né il suo atteggiamento di superiorità. Già, decisamente. A scuola non l'avrebbe lasciato in pace neanche un secondo, prendendosi gioco lui.
Jimin pensava che forse quel posto non aveva lampioni, né mattoni verniciati o un tetto stabile, né tanto meno acqua potabile, ma almeno c'era un ascensore e non doveva salire tre rampe di scale ogni giorno.
«Perché cazzo sto pensando a lui, comunque.»Pensò ad alta voce e scosse la testa. Indossò abiti più comodi — che teneva in un unico cassettone sotto il letto — e decise di scrivere a Jungkook chiedendogli come stesse. Era genuinamente preoccupato per il più piccolo.

Jungkook non lesse subito il messaggio. Era nel letto di camera sua sovrastato da mille coperte, o almeno così gli sembrava visto che sentiva fin troppo caldo.
«Koo, ti sei svegliato.»
Erano le cinque di pomeriggio.
La figura di Taehyung in tuta si avvicinò al più piccolo che si mise seduto reggendosi la testa con le mani.
«Ho caldo.»
«Hai la febbre alta.»
«Fammela passare, devo studiare.»
Taehyung ridacchiò. «Non sono un mago. Riposa e ti passerà. Senza studiare. E resta a casa anche domani, non avresti comunque tempo per preparare le lezioni.»
Jungkook spalancò improvvisamente gli occhi quasi ignorando quelle ultime parole. «Jimin!» Si ricordò.
Taehyung lo guardò accigliato. «Gli ho parlato io. Non penso sia l'ideale che le vostre lezioni continuino, lo dico per te.»
Prese posto sul bordo del letto e spinse delicatamente Jungkook a sdraiarsi di nuovo. Il minore era troppo stanco per rispondere e lasciò perdere. Tanto non faceva neanche lezione con Jimin, ma si sarebbe comunque dovuto scusare.
«Vado a prepararti una camomilla, poi continuo a correggere le verifiche del primo.» Alzò gli occhi al cielo — correggere i compiti in classe era la parte che più odiava del suo lavoro.
Jungkook annuì. Amava la camomilla. Amava anche come il suo migliore amico si prendesse cura di lui. Chiuse gli occhi e dopo qualche secondo sentì delle labbra premere sulla sua fronte in un piccolo bacio e sorrise impercettibilmente.

Taehyung era fottuto marcio e cotto fino al midollo. Jungkook doveva davvero smetterla di essere così carino.

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