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La verifica di letteratura era stata una vera tragedia, eppure si trattava di una terza ormai abituata alle tracce complesse di Namjoon.
Il ragazzo castano si passò la mano fra i capelli, desolato.
«La prossima volta date ancora di più, mi raccomando.» Disse, ritirando le verifiche dai banchi degli alunni dopo che ebbero finito di visionare il risultato, alcuni in lacrime per il voto basso preso.
«D'ora in poi proverò ad essere più chiaro nelle spiegazioni, non voglio che questa verifica vi rovini la giornata.» Purtroppo Namjoon si sentiva sempre in colpa nell'assegnare insufficienze, ma non poteva fare altrimenti.
Lui era buono sin dai giorni di scuola media, tanto da non accorgersi di essere usato dai bulletti, talvolta. Ma gli piaceva così tanto studiare, conoscere e mangiare libri che non dava peso alla negatività attorno a sé se aveva un romanzo di Dickens nella sua borsa che portava ovunque.
Non era nei suoi piani insegnare, in realtà. Fu Hoseok che lo convinse, ai tempi dell'università, dove erano diventati amici. A differenza di Namjoon, Hoseok lasciò gli studi al secondo anno e si concentrò sugli allenamenti di basket. Il caso volle farli ritrovare insieme anni dopo a scuola, l'habitat naturale di Namjoon, diceva Hobi. In effetti, Namjoon non voleva fare altro che trasmettere il suo sapere a più persone possibili, renderle consapevoli della bellezza astratta del mondo, unica fonte di serenità per lui — assieme alla sua collezione di tisane.

«Professore, la colpa non è sua, spiega davvero bene, siamo solo stressati perché abbiamo tante cose da fare, anche se so che non è una scusa plausibile.» Disse una sua alunna, tirando su col naso.
Namjoon sorrise, sorpreso, mostrando le sue fossette — dieci punti in più aggiunti alla sua popolarità. «Vi capisco, tranquilli.»
La campanella suonò. «Buon pranzo a tutti, a domani.»
I ragazzi lasciarono l'aula e Namjoon si diresse in aula insegnanti al piano terra.

«Ti ho detto di non scuotere così forte il distributore!»
«E io ti ho detto che si è mangiato i miei soldi.»
«Non te li darà indietro se fai così.»
Namjoon aggrottò le sopracciglia nel sentire urlare appena spalancata la porta. Non poteva aspettarsi altro se non Taehyung e Jimin litigare. Yoongi e Hoseok erano seduti attorno al tavolo con la testa fra le mani, esasperati da quel loro continuo comportamento.
«Uhm, che succede?» Nessuno rispose alla domanda di Namjoon.
«Guarda, l'hai rotta.» Esclamò a un certo punto Taehyung, battendo una mano sul vetro del distributore.
«Non colpirlo, lo rompi di più.» Jimin posò entrambe le mani sui fianchi, minaccioso.
«Vaffanculo.» Sussurrò tra i denti Taehyung. Estrasse dalla tasca il suo portafogli e ne uscì qualche monetina. «Ecco qua, adesso basta lamentarti.» Con forza, mise i soldi nelle mani del biondo che rimase a bocca aperta.
«Stai scherzando, vero?» Gettò le monete a terra. «Ti detesto.» Con altrettanta forza raccolse tutte le sue cose e lasciò la stanza sbattendo la porta alle spalle.
Namjoon aveva capito, adesso.
«Taehyung, davvero, basta litigare.»
«Non è colpa mia.» Taehyung stava raccogliendo le monete da terra. «Che maleducato.» Continuava a bisbigliare, di cattivo umore.
Tutti nella stanza sospirarono, rassegnati.
«Comunque, io ho l'ultima lezione adesso.» Hoseok si alzò. «Jungkook verrà oggi in palestra?» Era il secondo giorno che il minore si assentava dalla palestra di Hoseok — inaugurata tre anni prima, era la palestra privata più famosa della città —, che aveva cominciato a frequentare proprio quando si conobbero a scuola.
«No, ma domani dovrebbe tornare.» Taehyung sorrise: il suo migliore amico si era preso una meritata pausa per riprendersi.
«Allora salutamelo comunque.» Hoseok mostrò un ampio sorriso e corse via, in ritardo per la sua lezione.
«Salutalo anche da parte mia.» Borbottò appena Yoongi mentre indossava la sua giacca, poi uscì da scuola e si sorprese nel vedere Jimin fumare una sigaretta e camminare in tondo nel cortile anteriore.

«Che fai, aspetti il mio passaggio anche oggi?» Ridacchiò. Ci aveva preso gusto nel stuzzicarlo.
Jimin non afferrò la battuta di Yoongi perciò gli lanciò un'occhiata di fuoco che, se avesse potuto, avrebbe ucciso.
«Okay, andiamo, ti accompagno io.» Il maggiore accennò alla sua macchina con la testa. Dopo un piccolo momento di esitazione, Jimin gettò la sigaretta a terra e seguì il maggiore fino a sedersi nella sua auto nera, in silenzio, e si stese comodo sul sedile chiudendo per un momento gli occhi. Fu davvero scioccante come, tra i due, fu Jimin ad iniziare una conversazione dopo dieci minuti di silenzio.
«Io non sopporto Kim Taehyung. So di poter esser acido, ma quel ragazzo ha qualche problema con me senza alcun motivo valido. Come se mezza scuola non mi odiasse già.» Si sfogò un po', giusto perché non aveva nient'altro da perdere ed era troppo stanco per pensarci due volte.
«Non è vero che ti odiano tutti. Odiano la materia, non te. Insomma, insegni matematica. Un po' come succede a Jungkook.» Yoongi continuava a guardare dritto verso la strada.
«Pft, non c'è nulla di male nella matematica. E poi anche tu mi odi.» Jimin incrociò le braccia al petto e mise su un impercettibile broncio. Il linguaggio del corpo parlava per lui, come sempre. Yoongi non rispose proprio all'ultima parte. «Più che altro non capisco come ci si possa basare solo su tecnologie varie senza tener conto delle questioni umane, capisci.»
Da lì in poi, il biondo perse il filo del discorso troppo filosofico per i suoi gusti — era a tanto così dal mandarlo a fanculo.
«Mi vuoi dire che Taehyung odia la matematica ed è per questo che si arrabbia con me ogni giorno?» Lo interruppe. La domanda di Jimin era ovviamente retorica, la spiegazione del maggiore gli era parsa davvero, ecco, stupida.
Yoongi scelse di sbuffare anziché rispondergli e riprendere a litigare. «Lascia stare. Eccoci arrivati.»
Jimin gonfiò di nuovo le guance. Carino.
«Grazie ancora. Può sembrare che stia abusando della tua improvvisa gentilezza, ma non succederà più.» Disse nel suo solito tono duro, ormai in piedi sul marciapiede, affacciato al finestrino per guardare il più grande con la fronte perennemente aggrottata.
«Io sono sempre stato gentile.» Disse, più a se stesso che all'altro, poi staccò i due sguardi incatenati e proseguì verso casa sua premendo sull'acceleratore.
Jimin rimase per un po' a bocca aperta, c'era da ammetterlo, poi sbuffò rumorosamente ed entrò nel palazzo — nessuno avrebbe mai creduto alla sua versione dei fatti, comunque.

Aperta la porta del monolocale ebbe appena il tempo di togliersi le scomode scarpe e slacciarsi la cravatta che gli squillò il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni. Sbuffò per la milionesima volta prima di rispondere al numero sconosciuto. «Chi è?»
«Professor Park, la chiamiamo dalla segreteria della Wings High School. Il preside Jeon vorrebbe parlare urgentemente con lei. È disponibile per una videochiamata, adesso?»
Jimin fu preso alla sprovvista e si sarebbe arrabbiato per il tempismo di merda se non fosse che gli sudavano le mani e quindi non aveva tempo per pensare. «Uhm, sì, certo.»
«Grazie mille. Le inviamo il link della conferenza per messaggio. Buona giornata.»
Jimin si sedette con fretta, accese il suo vecchio pc e si pettinò i capelli con le mani. In cinque minuti era già collegato in videochiamata aspettando il preside. I piedi scalzi sotto il tavolo si contorcevano dall'ansia.
Un piccolo beep segnalò che un'altra persona era entrata in chiamata.
«Oh, Park, è già qui! Allora scusi l'attesa.» Una voce metallica arrivò alle sue orecchie.
«Buon pomeriggio, preside Jeon.» Jimin inchinò leggermente la testa.
«Mi dispiace per la fretta e l'improvvisazione, ma la situazione è abbastanza grave.»
Jimin si morse la lingua. Che avesse scoperto tutte le liti in aula insegnanti? La sua scontrosità nei confronti degli alunni? Ma come? Già si immaginava a cercare un altro lavoro, per l'ennesima volta nella sua vita.
«Ho una proposta per lei, una specie di promozione.» Disse invece il preside.
«Mi scusi?» Il biondo sgranò gli occhi e si avvicino alla telecamera, come per sentire meglio, non credendo alle sue orecchie.
Il preside sorrise, più carismatico che mai. «Il professore di fisica e scienze, Kim Yeonsu, si è dovuto trasferire urgentemente in Giappone per questioni personali ed ora il suo posto è scoperto.»
«Sta chiedendo a me di prendere le sue classi?» Jimin si indicò con un dito, gli occhi ancora sbarrati. Doveva sembrare proprio ridicolo.
«So che sarà difficile, ma come scuola non abbiamo altra scelta, lei è l'unico qualificato per il posto, al momento. Sarebbe disposto a darci provvisoriamente una mano in questo? Chiaramente faremo in modo che il suo stipendio raddoppi.»
Con la stessa espressione sorpresa, Jimin accettò la proposta e chiuse la chiamata, euforico, non potendo rinunciare ai soldi in più che avrebbe intascato e che gli avrebbero fatto davvero comodo.
Inizialmente, non prese in considerazione anche lo stress in più, gli alunni esasperanti in più, le ore di lezione in più fino a rinunciare alla sua giornata libera, il lavoro a casa in più, fino a quando arrivò a dormire solo tre ore a notte.

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NOTA: dal prossimo capitolo, ma soprattutto da quello dopo ancora, inizia il vero drama ¯\_(ツ)_/¯ quindi non abbandonatemi adesso!

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