Capitolo 4

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Il giorno seguente metto subito Oscar al corrente sugli ultimi aggiornamenti
<Gargoyle?> mi chiede mentre facciamo il nostro giro di pattugliamento, oggi ci è stata
affidata la zona commerciale <si esatto> Oscar scuote la testa sconvolto <non posso
crederci che Thomas ci abbia tenuto all’oscuro di tutto> annuisco pienamente
d’accordo, ancora sento la rabbia scuotermi i nervi, stanotte non ho chiuso occhio
<proteggere gli arcaici è il nostro dovere, è il compito del dipartimento di cui facciamo
parte, e se questi sono in pericolo è nostro diritto saperlo> mi dice con enfasi <mi hai
tolto le parole di bocca> lo sapevo che Oscar la pensava esattamente come me <come
possiamo difenderli da qualcosa che nemmeno conosciamo?> chiedo alzando le mani
in cielo in segno di frustrazione <è tutta la notte che ci penso> continuo a camminare
lasciando lo sguardo scorrere tra le persone che mi camminano accanto, ognuno perso
nei propri pensieri, nei propri impegni, ignari del pericolo che stanno correndo <da
come ha parlato Thomas quello a cui abbiamo assistito non è l’unico caso che si è
verificato, ma ce ne sono stati altri, cinque, dieci, cento? Non lo sappiamo!> Oscar
tiene il mio passo pensieroso, i suoi occhi chiari scrutano la strada davanti a sé senza
vederla davvero, è assorto nei suoi pensieri, si scosta distrattamente i capelli biondi dal
viso <non conosciamo la gravità della situazione, non sappiamo se la cosa è tenuta
sotto controllo ma a questo punto non mi interessa> mi fermo e mi giro verso il mio
partner che ora mi fissa incuriosito <non mi arrenderò, non mi interessa cosa dice
Thomas io indagherò, mi farò sentire, e non mi darò pace fino a quando anche l’ultimo
arcaico non sarà fuori pericolo> Oscar mi fissa per qualche minuto in silenzio e poi mi
sorride < lo sapevo che lo avresti detto > gli sorrido di rimando <bene allora, hai già
un piano?> mentre sto per rispondergli sento qualcuno fermarsi vicino a noi, mi giro
per vedere di chi si tratta: prescelti. Lo capisco dal loro abbigliamento, esattamente
come il mio, noi prescelti indossiamo tutti la stessa divisa: pantalone e giacca a doppio
petto, tutto completamente nero ad eccezione di una fascia colorata che portiamo sul
braccio sinistro, all’altezza del cuore, la mia e quella di Oscar è blu ad indicare che
facciamo parte del dipartimento arcaico, il dipartimento destinato alla difesa del popolo
arcaico, mentre questi tre che si sono fermati adesso davanti a noi hanno una fascia
viola che sta ad indicare che fanno parte del dipartimento degli affari interni. Ci fissano
da capo a piedi con aria di superiorità <oh, ma guarda chi c’è> dice uno di loro al
compagno <la talentuosa Elly Davis> si sofferma un po’ di più sul mio cognome, già
so dove vuole andare a parare, addirizzo le spalle e lo fisso diritto negli occhi
sfidandolo a continuare <che cosa volete?> chiede Oscar mettendosi tra me e questi tre
idioti <vogliamo solo salutarvi> risponde un altro con tono da finto innocente <bene
l’avete fatto ora lasciateci passare> Oscar prova a schivarli ma uno di loro gli blocca
la strada <noi non ci spostiamo solo perché lo dici tu necromante> Oscar appartiene
alla classe dei necromanti, i prescelti come lui sono in grado di rivivere gli ultimi istanti
di vita di una persona semplicemente toccando il loro cadavere, non è un dono utile in lotta ma nelle indagini si è spesso rivelato essenziale. Oscar gli rivolge uno sguardo di
disprezzo <siamo in servizio, non ho tempo per restare qui a discutere con voi> prova
di nuovo a superarlo ma questo gli blocca nuovamente la strada <certo, non vedi l’ora
di andare a difendere i tuoi preziosi arcaici> poi si rivolge verso di me <d’altronde una
di loro la tieni accanto> non ci vedo più dalla rabbia, non perché mi abbia definita
arcaica, non ho alcun problema al riguardo, ma perché so che per alcuni prescelti gli
arcaici sono esseri inutili senza abilità ed è questo che questo tizio pensa di me, per lui
essere definita arcaica è un’offesa <molto meglio essere un’arcaica che una testa di
cazzo come te!>sbotto furiosa, è tutta la vita che devo subire prese in giro di questo
tipo, dovrei lasciarmele scivolare addosso ma non ci riesco, è un nervo scoperto per
me, mi fa troppo male. Il prescelto si avvicina a me con aria minacciosa, il suo viso è
a pochi centimetri dal mio <come ti permetti piccola presuntuosa, tu non sei nessuno,
se sei qui lo devi solo al cognome che porti> ecco che ci risiamo <io non sono un nome,
io sono una prescelta, ho lavorato duro per poter essere degna di indossare questa
divisa!> grido battendomi la mano sul petto, il suo sguardo si posa sulla mia faccia e
scoppia a ridere <si certo e immagino che sarai soddisfatta di far parte del dipartimento
di quei stupidi arcaici> anche i suoi compagni si uniscono a lui nel ridere <si sa che nel
vostro dipartimento ci sono i prescelti più deboli> non resisto e gli do una spinta
mandandolo a sbattere contro i suoi compagni <te lo faccio vedere io chi è più debole>
Oscar mi prende per le spalle e mi tira indietro mettendo più distanza possibile tra me
e loro <Elly cosa fai? Non vorrai abbassarti al loro livello> il tizio che ho spinto si
riprende e mi lancia uno sguardo pieno d’odio <tu sei qui solo perché sei la figlia di
tuo padre, lui sì che è stato un grande prescelto degno di indossare questa divisa, tu sei
solo un disonore, se lui potesse vederti in questo momento si vergognerebbe di te>
queste parole mi colpiscono al petto peggio di cento pugnali, sento le mie difese
sgretolarsi, mi maledico per essere così debole da lasciare che delle stupide frasi dette
da tizi senza cervello mi facciano così male, trattengo le lacrime che minacciano di
uscire. Non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo ad alta voce ma spesso il pensiero
mi sfiora, mi chiedo spesso cosa penserebbe mio padre di me, se lui, Edward Davis, il
grande prescelto appartenente alla guardia reale, guardia personale del re, se potesse,
cosa direbbe di me, della mia condizione, cosa gli passerebbe per la testa se sapesse
che sua figlia non è altro che una grande delusione. Non sono nemmeno in grado di
manipolare la mente di un piccolo coniglietto figuriamoci di un nemico. Le mie braccia
ricadono inerme ai lati mentre questi pensieri mi vorticano in testa senza freno, trovano
terreno fertile, affondano le radici fino a dentro di me, mi arrivano diritti al cuore.
Istintivamente poggio la mano al petto, stringo forte il medaglione di mio padre e lascio
che il metallo freddo mi ridia un po’ di lucidità, metto a fuoco i tizi di fronte a me, la
mia mano lentamente si avvina al fodero del mio pugnale quando una corrente elettrica
scorre tra me e loro. I tre prescelti fanno un balzo indietro, smorfie di dolore appaiono
sui loro volti per pochi istanti prima di riprendere il controllo e guardarsi intorno
confusi. Seguo anche io i loro sguardi per capire la fonte di quell’attacco quando mi accorgo di un ombra nel vicoletto accanto a noi, ne esce una figura alta e imponente,
vedo per prima cosa i suoi anfibi neri. Alzo lo sguardo verso l’alto e vengo attirata dalle
braccia muscolose lasciate scoperte da uno gilet nero di pelle. Indossa anelli sulle dita
e polsini di pelle nera. Ma ciò che attira il mio sguardo sono dei profondi occhi neri
che mi fissano con un intensità tale che per un attimo mi sento mozzare il respiro.
Capelli spettinati gli ricadono ribelli sulla fronte, una mano li scompiglia distrattamente
mentre con aria annoiata distoglie lo sguardo da me per posarsi sui tre prescelti di cui
mi ero completamente dimentica <e tu chi sei?> chiede uno dei tre, sta per fare un
passo avanti quando il compagno lo blocca <lui è Ian, lo stregone> Ian degna loro della
stessa attenzione che presterebbe ad un moscerino <e quindi? Pensi che io abbia paura
di uno stregone qualsiasi? Io sono un prescelto> uno sbuffo derisorio parte dalle labbra
di Ian e questo non fa che far arrabbiare ancora di più il prescelto, ma il compagno
stringe con più forza il suo braccio trattenendolo accanto a sè <Ian…Lee!> calca in
maniera eccessiva il cognome Lee, lancio uno sguardo ad Ian per vedere la sua reazione
ma resta impassibile come se nulla lo toccasse mentre io ritrovo un familiare senso di
rabbia, perché tutti hanno questo irrefrenabile bisogno di classificarti? C’è questa
usanza comune di dover capire chi sei, da dove vieni, per giudicare e catalogarti come
un banale melone al mercato. A questo punto perché non andiamo in giro con un
cartellino, tu sei un Lee? Sei intoccabile. Tu sei uno Smith qualsiasi? Allora sei niente.
Vorrei tanto capire questo viscerale bisogno di giudicare chi abbiamo di fronte da dove
nasce. Ribadisco: io non sono un nome, io non sono una categoria, io sono una persona
e merito rispetto a prescindere da tutto. Il tizio sembra aver collegato finalmente perché
spalanca gli occhi, guarda meglio Ian in cerca forse di qualche somiglianza, poi fa un
passo indietro sconfitto <andiamocene da qui è meglio> mormora infine a denti stretti
e tutti e tre se ne vanno con la coda tra le gambe così come sono venuti. Mi giro a
guardare Ian, lui sente il mio sguardo su di sé e si volta verso di me. Lo vedo assumere
il suo solito atteggiamento distaccato, presuntuoso <ho visto che avevi bisogno di aiuto
Davis> ed eccolo qui, il solito arrogante sbruffone <io non avevo bisogno proprio di
niente, tantomeno di te> un sorriso gli curva le labbra <bastava un grazie, non ti hanno
insegnato le buone maniere?> ogni volta che parlo con Ian mi fa perdere le staffe <io
non ti devo proprio niente!> Ian sorride e scuote la testa <ma che piccola ingrata> e
detto questo scompare di nuovo del buio del vicoletto, resto per un attimo lì impalata
con i pugni stretti, quanto vorrei dirgliene quattro <su forza andiamo> Oscar mi
riscuote dai miei pensieri, annuisco e lo seguo, non prima di lanciare un ultimo sguardo
al vicoletto.

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