Capitolo 12

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Quando ero piccola adoravo stare seduta sulle gambe di papà ad ascoltare le storie delle sue incredibili avventure. Mi raccontava di piani segreti, fughe rocambolesche e viaggi in paesi sconosciuti. Ad oggi credo che gran parte di quelle storie in realtà erano solo quello, ovvero solo storie raccontate ad una bambina che non ne voleva sapere di stare ferma, eppure sono certa che un fondo di verità c’è sempre in ogni storia che
raccontiamo. La me bambina quando ascoltava quei racconti ne restava affascinata, sembrava quasi di poterti immergere nella sua testa e di rivivere quei momenti insieme
a lui, ma adesso, dopo due giorni di cammino a piedi e dolore alla schiena per aver dormito a terra mi rendo conto che non era proprio così bello come sembrava. Mi sforzo
di ricordare qualcosa di quei racconti, dei paesaggi che mi descriveva, di come ogni posto era diverso dall’altro. Cosa darei per riascoltarli. Ci stiamo avvicinando sempre più verso il sud della regione Bianca, lo capisco perché riesco a vedere in lontananza il grande freddo stagliarsi su nel cielo minaccioso, e ad ogni passo si avvicina sempre di più, è impossibile non notarlo, riempie tutto il nostro campo visivo <arriveremo nei
pressi del grande freddo quando farà sera, ci conviene per stanotte di accamparci accanto al tunnel> ci dice Ian sempre in capo al gruppo interrompendo il suo solito
mutismo, le sue parole sono sempre così misurate ed efficienti, come se fosse assurdo parlare per il semplice gusto di fare conversazione <domani mattina all’alba lo attraverseremo> io ed Oscar annuiamo ma lui non può vederci, mi chiedo se adesso ci
fermassimo qui, noterebbe la nostra assenza? <ti sei mai spinta così lontana da casa?> mi chiede Oscar spezzando il silenzio, menomale che c’è anche lui con me con cui
posso parlare <in realtà si, una volta con i miei genitori siamo stati in vacanza in una città del sud> cerco di ricordare qualcosa di quel viaggio, un paesaggio, un oggetto, un
momento particolare che potrei trovare familiare ma non riesco a trovare nulla <è stato tanto tempo fa, ero solo una bambina, penso di aver fatto gran parte del viaggio
dormendo> sorrido al pensiero di come sia diversa la situazione ora <io non ho mai visto il grande freddo così da vicino, è…immenso> ci giriamo entrambi a guardarlo, per vederlo tutto siamo costretti ad alzare la testa. Il grande freddo è una massiccia
catena montuosa che divide il Regno d’Argento esattamente in due parti per poi salire lungo la parte occidentale dell’isola fino alla sua estremità nordica. Il palazzo reale
sorge proprio alle sue pendici. E’ una catena montuosa impossibile da scalare, qualcuno in passato ci ha anche provato ma nessuno di loro è tornato indietro vivo per raccontarlo. Viene chiamata il grande freddo perché è costantemente coperto da neve tenuta sempre fredda da un vento gelido, le temperature sono così basse che nessun essere umano potrebbe sopravvivere. I nostri antenati hanno scavato un enorme tunnel che collega la regione Bianca con la regione Antica, per attraversarlo tutto ci vogliono
due giorni di cammino. Chi lo ha attraversato mi ha raccontato che il suo interno è come se fosse una grande città dotata di ogni comfort per conciliare il viaggio, è stato
attrezzato con locande per accogliere i viaggiatori anche se sono poche le persone che lo attraversano per semplice svago, principalmente viene utilizzato per scopi
commerciali. Come non detto le parole di Ian si sono rivelate vere, arriviamo al crepuscolo nei pressi
dell’ingresso del tunnel, ci cerchiamo un posticino al riparo da occhi indiscreti in cui poterci accampare per la notte, Ian accende di nuovo un bel fuoco, ora che siamo così
vicini al grande freddo, il gelo si fa sentire, l’aria è fredda mi sfrego le mani con forza per fare calore, Oscar si siede accanto a me e mi poggia il braccio sulla spalla, ci abbracciamo e ci avviciniamo per prendere il calore l’uno dall’altra <dobbiamo
resistere solo per questa notte> mi incoraggia Oscar <siamo così vicini al grande freddo che ogni fonte di calore si annulla> <che avventura sarebbe senza spirito di adattamento> Oscar mi sorride <sembra passata un’eternità e invece siamo solo
all’inizio del nostro viaggio> <già> riesco persino a ridere <non oso immaginare cosa ci aspetterà da oggi in poi> <non mi dire che l’impavida Elaine Davis ha paura> mi
allontano giusto un attimo per raddrizzarmi e mettermi la mano sul cuore con fare dignitoso <mai!> esclamo con enfasi prima di tornare ad accoccolarmi sotto al suo
braccio in cerca di calore, scoppiamo entrambi a ridere. Sento un formicolio dietro al collo, mi giro e noto con sorpresa che Ian ci sta osservando, il suo sguardo come al
solito è imperscrutabile, appena nota che lo sto guardando distoglie subito lo sguardo e si distende sul suo letto improvvisato dandomi le spalle, scuoto la testa e torno a
guardare il fuoco avanti a me, mi chiedo se abbia freddo, vorrei tanto che si unisse a
noi in questo momento, ma d’altronde Ian è sempre stato così per tutta la vita, una presenza solitaria nell’ombra, non vedo perché adesso dovrebbe cambiare.
Il mattino seguente all’alba ci rimettiamo in viaggio, così come Ian aveva programmato
<bene siamo in perfetto orario> commenta Ian ad alta voce, potrei azzardare dicendo
che sembra addirittura di buon umore. Mi guardo intorno, l’ingresso del tunnel è completamente vuoto <siamo soli?> chiedo sorpresa, che io sappia è sempre molto
trafficato <tra un’ora non lo sarai più> spiega Ian <è ancora presto ma tra un po’ sarà pieno di viaggiatori> fisso Ian sbalordita, lui si gira a guardarmi prima di riprendere
imperterrito a fissare la strada davanti a lui, sente il mio sguardo su di se e non resiste,
si gira a guardarmi di nuovo <si può sapere che c’è?> scoppio a ridere, la confusione che leggo sul suo volto è impareggiabile, anche Oscar mi guarda confusa, attendono
entrambi una spiegazione <non posso crederci, hai parlato! E hai detto più di due parole> alzo due dita a enfatizzare il concetto, decido di stuzzicarlo un po’ per
sdrammatizzare, non ne posso più di vedere quel suo muso lungo. Oscar scoppia a ridere insieme a me mentre Ian ci guarda come se fossimo due pazzi <potrò dire di aver
vissuto davvero quando ti avrò visto ridere> <io rido> si difende un Ian stranamente chiacchierone <no sorridere Ian, io intendo ridere davvero, ridere di gusto, una di quelle risate liberatorie e spontanee che non riesci a controllare> si ferma per un attimo a guardarmi, il suo sguardo è intenso, la mia risata si spegne per fare spazio a qualcosa
che non so definire <che c’è?> gli chiedo io questa volta, lui scuote la testa <niente, è che penso che tu non mi abbia mai chiamato per nome> e poi riprende a camminare a
passo spedito come se quella conversazione non fosse mai avvenuta, o forse semplicemente ha esaurito la sua dose giornaliera di parole. Ha ragione, credo di non
averlo mai chiamato per nome ma forse semplicemente questa è la conversazione più lunga che abbia mai avuto con lui da quando lo conosco. Mi stupisco ogni volta se
penso da quanti anni io ed Ian ci conosciamo, l’ho incontrato ancora prima di conoscere Oscar. Il suo rapporto con zia Linda ci ha in qualche modo legati anche se in un modo tutto nostro. So così poco però di lui, mi piacerebbe scoprire qualcosa di più, ma non
la sua storia, quella la so bene, io voglio sapere chi è davvero lui, chi è dietro quella sua corazza, chi è quando la notte posa la testa sul cuscino quando resta da solo con i
suoi pensieri e non ha più barriere da tenere alzate. Resto sconvolta io stessa dall’implicazione dei miei pensieri, scuoto la testa per togliermi queste idee assurde, sospiro pensando tra me e me che sarebbe più facile ammansire una pantera che Ian.
L’interno del tunnel è completamente illuminato come tanti piccoli puntini dai fuochi delle torce appese alle pareti rocciose del grande freddo, anche sopra di noi c’è una
distesa infinita, sembra quasi un cielo stellato sopra le nostre teste, queste oltre ad illuminare il cammino creano anche un’accogliente atmosfera attenuando il freddo che
abbiamo sofferto per tutta la notte. Pur essendo scavato nella montagna, il tunnel è largo chilometri e chilometri, sembra una città coperta. Dopo circa un’ora di cammino
iniziamo a vedere anche qualche locanda lungo i lati, alcuni viaggiatori stanno uscendo per rimettersi in viaggio dopo aver passato la notte. A poco a poco il tunnel si popola,
un fiume di persone si riversa al suo interno come fosse una qualunque strada del centro cittadino, arcaici e prescelti non fa differenza, si muovono tutti spediti per raggiungere la propria destinazione, ci confondiamo tra la folla, nessuno fa caso a noi, quando siamo
arrivati esattamente a metà cammino decidiamo di fermarci in una locanda per la notte, o quello che pensiamo che sia, all’interno del tunnel si perde completamente il senso
del tempo, più che altro è la stanchezza a ricordarci che dobbiamo fermarci a riposare. Dormire fuori nel bel mezzo del tunnel darebbe troppo nell’occhio, qui tra queste pareti rocciose non c’è un posto dove nascondersi, non è possibile accamparci come abbiamo
fatto fino ad ora. Oscar va avanti a prendere le camere, la locanda sembra affollata ma riusciamo comunque a trovare un posto per noi, lui ed Ian condivideranno una stanza mentre a me hanno riservato una tutta per me. Ci concediamo un pasto caldo veloce per recuperare le energie prima di ritirarci nelle nostre stanze, mi sembra quasi un
sogno, non credevo avrei dormito di nuovo in un letto così presto, non me lo aspettavo ma il grande tunnel si è rivelato essere accogliente nonostante la sua composizione morfologica peculiare, segno che si è prestata grande cura al comfort dei viaggiatori, se così non fosse stato il regno sarebbe stato nettamente diviso in due senza possibilità
di collegamento invece in questo modo si favoriscono i commerci e i legami tra le regioni. La camera che mi è stata assegnata è molto piccola e presenta lo stretto necessario, un letto spartano con comodino e un armadio con una sola anta. Una porta conduce in un piccolo bagno che anche se di dimensioni ridotte ha tutti i comfort necessari, finalmente posso ridarmi una bella rinfrescata, mi spoglio e mi butto sotto il getto caldo della doccia, lascio che l’acqua scivoli via tutta la stanchezza del viaggio,
chiudo gli occhi e mi rilasso mentre il getto d’acqua mi massaggia la testa e la schiena. Quando finalmente mi infilo nel letto non mi sembra vero, sembra sia passata un’eternità da quando ho dormito l’ultima volta in un letto vero eppure sono passati
solo pochi giorni. Respiro il profumo di bucato fresco, mi chiedo come facciano ad essere così attrezzati nel bel mezzo di un tunnel di questa portata, ma poi ripenso alle
migliaia di torce che tappezzavano l’intera galleria a perdifiato e la risposta mi rimbalza subito in testa: magia. Appena la mia testa posa sul cuscino tutta la stanchezza si fa
sentire, sento il sonno incombere come un macigno ma prima non posso fare a meno di pensare ad Ian ed Oscar che in questo momento stanno condividendo la stanza. Il
suono della mia risata rompe il silenzio attorno a me, ed è con questo che mi addormento.

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