Capitolo 2: Recupero

36 8 2
                                    

Ero stata addestrata all'età di otto anni, per compiere un destino, che non compresi mai pienamente. Come un soldato sapevo utilizzare le mie forze, ma anche numerose armi. Le principali, impiegate anche in battaglia, erano l'arco, così preciso e veloce, e la lancia indistruttibile, leggera e robusta, equipaggiamento che mi rappresentava, almeno secondo i Fondatori. Io ero Guardiana. Eppure, era morto il mio elemento. Il suo nucleo era stato danneggiato, forse irreparabilmente.

I Padri Guardiani, detti anche Fondatori, con la formazione degli elementi avevano creato quattro nuclei affinché racchiudessero l'essenza di ogni elemento. Questi erano nascosti nei luoghi più estremi del globo, e protetti da esistenze sovrumane. Nessuno li aveva mai trovati, almeno fino ad allora.

Ma a me non interessava del nucleo, né delle intenzioni del responsabile. Mi importava solo vendicare Vì, e forse riportarlo da me. Volevo solo riabbracciarlo, seguirlo, sentirlo ancora una volta tra i capelli. Desideravo sentire ancora la sua voce, evocarlo, sentire il suo potere in corpo, raccontargli tutto ciò che non ero riuscita a dirgli prima. Volevo riaverlo al mio fianco. Presto, però, la voglia di vendetta mi abbandonò portandomi solitudine e depressione. Non sapevo, però, che qualcuno mi stesse cercando.

Non ero l'unica Guardiana, ce n'erano altri tre, ognuno di noi padroneggiava un singolo elemento. Eravamo nati per combattere insieme, ma nella nostra generazione combattevano solo loro. Mi avevano sempre esclusa, abbandonata. Vì, di tanto in tanto, mi riferiva le loro imprese e io ascoltavo indignata del loro egoismo. 

Perché non volevano farmi combattere? Questa era la domanda che mi tormentava giorno e notte ininterrottamente.

Passarono giorni, che divennero settimane, poi mesi.  Era, oramai, luglio. L'aria sapeva di caldo, d'estate, di vacanza. Mi ricordo che, il giorno in cui mi trovarono, ero al parco vicino a casa della mia migliore amica. Lei ci andava ogni sera e a me piaceva stare in una panchina nascosta all'ombra di un noce ad osservarla. Forse ero in parte masochista, volevo sentire il mio cuore soffrire mentre respirava l'aria di vecchi ricordi. Forse mi mancava la vecchia vita. Forse non avevo il coraggio di tornare, di farmi nuovi ricordi, cancellando gli altri dalla mia mente. Non avevo il coraggio di vivere senza Vì.  Come al solito, la tristezza prese il sopravvento lasciando cadere delle lacrime sulle guance arrossite per il caldo. Fu in quel momento che, voltandomi nel tentativo di nascondere la mia visibile malinconia, li vidi, e li riconobbi. Erano gli altri Guardiani. Non aspettai un attimo e scappai. Non volevo avere nulla a che fare con loro. Per me erano persone inesistenti, insensibili, dalle quali volevo stare lontana. Quelli vedendo che mi allontanavo mi rincorsero. 

Avevo superato gli ultimi alberi ed ero quasi in strada quando sentii un gelido alla gamba, come la pioggia che scivola sul tuo viso, rinfrescandoti e facendoti rabbrividire. Lo distinsi subito. Non accettai questo gesto, e mi voltai verso quei tre volti pronta a combattere. Loro si avvicinarono. Li osservai attentamente, con un'aria di superiorità. Ci furono alcuni secondi di sguardi e poi attaccai furiosa. Alcuni minuti dopo, esausta, fui, però, presa alla sprovvista, e rinchiusa in una bolla d'acqua. Mi mancava l'ossigeno e le mie mani non riuscivano ad oltrepassare la sfera. Rimasi lì sul punto di svenire per diverso tempo, poi un blocco di ricordi mi riaffiorò alla mente.
Rividi dopo mesi Vì, che mi mostrava la strada. Sembrava un'illusione, un sogno. Ritornò l'ira, ed agii.

Avevo il guardiano del fuoco con un pugnale puntato alla gola. Era l'unica arma che avevo con me, mi era stata donata dalla professoressa Lion dopo il mio compiuto addestramento. Facevo domande confuse, non capivo cosa mi stesse succedendo. Era la rabbia a farmi parlare, quel sentimento causato da anni di ingiustizie nei miei confronti. Rammento che chiesi con voce tremante cosa volessero da me e perché dopo tanti anni erano venuti a cercarmi, ma non risposero. Il silenzio rimbombò nella mia mente, come un eco. Compresi che non era cambiato nulla. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma io cercai di contrastarle per non mostrare loro la mia debolezza. Piena di dolore e risentimento urlai così forte che mi parve di vedere la terra smuoversi. I capelli ormai asciugati dal calore del sole iniziarono a smuoversi leggermente, ma mai come una volta. Lui mi mancava.

D'un tratto apparve una quarta figura alle mie spalle. Si avvicinò a me con lentezza, e adagio mi poggiò le mani sulle spalle. Stavo per reagire quando parlò. La voce era familiare, dolce, sincera come quella di un bambino, ma non riuscivo a collegarla ad un volto. Mi disse di lasciare il guardiano, che finalmente era riuscito a trovarmi e che loro avevano bisogno di me. Poi mi prese il pugnale dalle mani e mi allontanò da loro. Io gridai e mi dimenai, poi il buio.

Mi risvegliai in una stanza piccola. I muri erano bianchi, d'un bianco quasi lucido. Non c'erano finestre per scappare. Avevo mal di testa e mi sentivo stordita. Avevo appena sperimentato in prima persona di cosa erano capaci i miei "colleghi".
Di fianco a me c'erano dei vestiti puliti: una t-shirt color rosa cipria e dei pantaloni neri, simili a quelli di una tuta da ginnastica. 

Sulla porta notai un biglietto un po' rovinato. I bordi erano sfilacciati, forse tagliati senza l'uso delle forbici. Mi avvicinai, tenendomi ancora la testa con le mani. Stavo recuperando l'equilibrio, e i piedi scalzi si muovevano confusi sul pavimento fresco. Sul foglio lessi: "Cambiati i vestiti, ci vediamo in cucina". Non era firmato ma la mia testa cercava inutilmente di collegarla ad un volto. Mi cambiai velocemente. Non lo facevo da giorni, forse da settimane. In quei mesi avevo dormito in un vecchio capanno abbandonato vicino al rione di Carassone, dove una volta c'era stata una fabbrica di tessuti. Non era il meglio ma non sapevo dove altro andare. Ero rimasta lì anche se c'era afa sia di giorno che di notte, se c'erano topi che giravano tra i vecchi macchinari e ragazzi che spesso veniva a disturbare durante notte. Cercavo di tenere un profilo basso, e, intanto, procedevo con le mie indagini. Mi basavo sui miti, le leggende e le storie dei Guardiani, tramandate per generazioni.

Tempo prima non avrei mai pensato che mi sarei ridotta come un senzatetto a vagare per la città, senza una casa o del cibo.

Mi avvicinai alla porta, la aprii e notai un lunghissimo corridoio grigio. L'assenza di finestre mi faceva dedurre il luogo in cui mi trovavo. Mi girai notando un'ombra di fianco a me, e trovai un altro biglietto, scritto con la stessa grafia, in cui erano descritte le indicazioni per arrivare alla cucina.

Guardiana_ObscurityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora