Capitolo 12: Pensieri

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Ognuno dei Guardiani era immediatamente partito alla ricerca del proprio cristallo. Io, invece, ero ancora lì, a osservare il mondo in prospettiva. Aspettavo di scorgere una piega, sperando che si trattasse soltanto di un sogno, ma era tutto realtà. 

Era inutile continuare a pensare di potermi svegliare da un momento all'altro da quell'incubo. Più immaginavo un risveglio, sudata nel letto, con le lacrime agli occhi, con una corsa fuori di casa per vedere e sentire Vì ancora vivo, che mi consolava e mi cullava, più mi sembrava una cosa possibile. Fino ad allora avevo sognato di volare alto, lontano dai problemi e dagli altri Guardiani, ma con lui sempre accanto; tuttavia si sa che l'essere umano non è nato per aliare. Così ero precipitata in una cruda e dura realtà, di cui non volevo far parte. 

In fondo non appartenevo a quel mondo, e per quanto mi sforzassi, continuavo a rimanerne estranea. Era come essere approdata in un paese straniero, dove nessuno parlava la mia lingua. Ero una migrante nella stessa agenzia che mi aveva assunto all'età di 8 anni.

Le mie notti, ormai, erano quasi tutte insonnie. Credevo che, se mi fossi addormentata, non mi sarei più svegliata, che mi sarei sgretolata nell'aria a causa dello struggimento che mi affliggeva. In quei momenti c'era un torrente in piena sul mio volto, perché sapevo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Mi proteggevo con una corazza, ma in realtà ero debole, fragile, distrutta.

Il dolore era troppo da sopportare. La sua mancanza mi opprimeva, non mi lasciava respirare. Le mie mani tremavano per la paura. Ormai sapevo per certo di non avere più il suo potere in corpo. Eppure mi mancava volare, arrivare a toccare le nuvole, sorridere, seguirlo e vedere dove mi portava. 

Così, assorta nei miei soliti pensieri, me ne stavo seduta lì, con l'ansia, un nodo alla gola, aspettando che il dolore mi consumasse.

Quella notte era scura e piovosa. L'umidità entrava nelle ossa, imprimendole. L'esterno era mosso da un temporale estivo. Le gocce cadevano violentemente sui pini e i loro aghi allungati e sottili producevano un rumore acuto sotto quella fragile danza. Il cielo era grigio, quasi nero, e ogni tanto era illuminato da un fulmine, mentre il ticchettare del temporale era interrotto da un tuono.

L'atmosfera era solitaria, ma con un tratto romantico, grazie a quella nebbia, che ostruiva la vista dell'orizzonte. Mi riaffiorarono alla mente i ricordi con Vì e l'atteggiamento di Lorenzo: era veramente bugiardo e manipolatore come tutti gli altri? 

Intanto il vento non soffiava, ed era tanto innaturale... 

Il vetro dell'unica finestra presente in quel posto era appannato e freddo. Io me ne stavo li appoggiata a tremare, pallida come la luna e triste come una stella solitaria.

In quei momenti mi rendevo conto che, se avessi avuto l'opportunità, sarei tornata indietro. Avrei rivissuto in maniera diversa gli ultimi mesi con Vì, e, magari, sarei riuscita a salvarlo. Avrei sorriso ogni attimo, avrei tralasciato gli altri impegni, non avrei vissuto la nostra amicizia come un dono eterno.

Ma, tanto giovane, come potevo immaginare quello che sarebbe successo? Tuttavia non avevo fatto nulla per evitarlo. A ogni suo ricordo mi si stringeva il cuore, lo sguardo si abbassava e qualche lacrima cadeva dal mio viso. 

Se chiudevo gli occhi riuscivo ancora a vederlo davanti a me, mentre un brivido mi scivolava lungo la schiena. 

Se fossi tornata indietro avrei fatto scelte diverse, non desiderando altro che la sua eterna amicizia.

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