Capitolo 34: Accettazione

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Ero sotto la pioggia, come la prima volta in cui ero giunta in quel luogo. Bagnata fradicia, avevo i capelli gocciolanti sul viso e sulla schiena e il volto ferito e sporco. L'aria era umida e aveva un odore frizzante. Era quasi l'alba di un nuovo autunno, e di una nuova me. Convocata, tra paura e sicurezza oltrepassavo la soglia di quella grotta buia. Le stalattiti grondavano di acqua, provocando un ticchettio ripetitivo. Io andavo avanti lentamente, a testa alta. Sentivo il rumore delle mie gambe pesanti mentre camminavo. 

Faceva freddo, ma resistevo, provavo dolore, ma procedevo. 

Se chiudevo gli occhi vedevo quel giorno di febbraio in cui ero giunta faccia a faccia con la mia nuova vita. Erano passati sei anni, ero cambiata, cresciuta, maturata, forse anche un po' invecchiata. Avevo fatto un viaggio lungo e faticoso, ed ero giunta fin lì, di fronte al mio futuro, al mio destino, alla mia occasione. Camminavo sotto i tuoni che rimbombavano, rivedendo quella me bambina che andava per quella via. Avevo fatto la scelta giusta: lottare per proteggere ciò che mi era stato assegnato, Vì, e non abbandonarlo. Anche se era lontano, mi aveva resa migliore, mi aveva messa sulla retta via, mi aveva salvata: era stato mio amico.

Tra quelle pietre umide vedevo la sua ombra seguirmi. Prima era lui a precedermi, allora, invece, andavo avanti io: indipendente, ma non sola. La luce si faceva sempre più chiara, e di fronte ad essa abbassavo le armi. Mentre mi facevo avanti, il chiarore brillava sempre di più, ed io procedevo. 

Entrai dall'ingresso sacro della Fondazione. La luce era immensa, e a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti. Avanzai lentamente verso il centro della sala, cercando di non inciampare. Guardai a terra e vidi un pavimento finemente lavorato con mosaici, rappresentanti gli istanti della forgiatura degli elementi. Le pietre dorate, che brillavano ancora di più sotto quel chiarore. Un calore mi scaldò e mi abbracciò. 

Mi sentivo tranquilla, anche se nel profondo angosciata dal richiamo dei Padri. 

Mi sentivo insignificante, e non degna di giungere faccia a faccia con loro, guardarli negli occhi e aspettare le loro parole. 

Piena di sentimenti contrastanti giunsi al centro della sala. La luce velocemente si ritirò e divenne niente di più che una lucciola. Accennai un sorriso. L'insetto mi girò intorno alcune volte sempre più veloce, prima di dirigersi verso l'uscita. La seguii con lo sguardo e i gesti. Mi fermai a fissare l'ingresso e la sua grande porta pesante in legno e metallo. Sopra ad essa c'era una lunetta con una scritta: Lasciate ogni speranza a voi che entrate. Solo ora la notavo, mi ricordavo delle scritte in latino, ma forse mi ero sbagliata. 

Avevo bisogno di fede per affrontare quella situazione, che, ero sicura, si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi. D'improvviso un vento fortissimo iniziò a soffiare contro di me, un lampo di luce apparve alle mie spalle, i rampicanti corsero dietro di me, e le goccioline d'acqua si sollevarono in aria per sorvolarmi velocemente. Mi voltai di scatto. Infatti, ero al cospetto dei Padri Guardiani. Adler Hauah, Berel Lancia D'acciaio, Helmer Cuore di Fuoco e Murray Mah si presentavano sotto forma di statue, o meglio ricordi. Immortalati per secoli nella roccia, avevano visto il mondo evolversi, uomini nascere, crescere, morire e avere nuovi inizi. Avevano poco più di 700 anni, avevano osservato orrori in vita e in morte, eppure credevano ancora nell'umanità e nell'uguaglianza, tant'è che per secoli avevano scelto guardiane come me.
Gli occhi dei Fondatori mi fissavano, i loro sguardi erano seri e silenziosi. Non dissi nulla e mi inchinai rispettosa. Aspettai con ansia le loro parole, stavo, infatti, esplodendo dentro, mi sentivo sopraffatta dalla paura, dallo sdegno di me stessa. 

«Suvvia! Alzati ragazza!» lentamente sollevai le mie ginocchia e mi rimisi in posizione eretta. Avevo le mani dietro la schiena, mentre aspettavo la sentenza. Irrequieta fissavo i loro sguardi. Senza pensarci sussurrai la frase che avevo letto sopra la porta. Mi stringevo forte le dita e le muovevo angosciata.

«Ginevra» uno dei quattro chiamò il mio nome «Rilassate, sentiamo il timore che vi assale, percepiamo l'aere carico circostante a voi. Lasciate le mani lungo i fianchi e sgombrati la mente. Non siete giunte qui per patire punizione.» continuò lo stesso.

«Anzi» lo interruppe con enfasi Helmer «Tu sei qui perché siam fieri di te.» Il mio animo in un attimo si calmò, e l'angoscia si dileguò. Le domande erano tante, ma ero più tranquilla. Lasciai cadere lungo i fianchi le mie braccia piene di tagli. Il sangue sgorgante giunse velocemente alle mie dita, e goccia dopo goccia cadeva a terra su quel mosaico dorato. Tuttavia continuai a fissare i Padri in attesa di risposte.

«Carissima Ginevra, sei giunta fin qua sperando che non te venga inflitta una pena eccessiva, ma tu non sei qui per tale ragione.» accennai nuovamente un sorriso e rivolsi nuovamente gli occhi alla porta, sempre più insospettita da quella frase.

«Da sei anni combatti per noi, benché in tuo piccolo, e sempre ci hai resi orgogliosi. Hai eseguito ciascun tuo dovere al massimo grado.» iniziò con tono solenne Adler Hauah. La sua voce era chiara, ma dura, eppure continuavo sempre più tranquilla ad ascoltare.

«Anni addietro, tua madre tentò di proteggerti, tenerti lontana dal tuo mondo, e ti ha tenuta alla larga. Ti ha guardata soltanto da lontano. Eppure, noi abbiamo seguito ciascun tuo passo, ti abbiamo vista crescere, ti abbiamo scelta come Guardiana. E quando Vento è spirato, abbiamo atteso un tuo segno.»

«Abbiamo veduto la tua sofferenza, il tuo ardore a spiccar fra gli altri.»

«E ci sei riuscita. Per tutte le fatiche che hai sofferto, abbiamo potuto constatare che tu sei stata la scelta migliore.»

«Non ci ha delusi, ci hai affascinati, mostrandoci la tua forza interna e la tua determinazione.»

«Per questo abbiamo deciso di premiarti, acciò che tali gesta dimorino nella nostra storia» conclusa quest'ultima frase girai, ancora una volta, il collo verso destra, forse cercando di cogliere ancora una volta una piega nella realtà. Speravo ancora che si trattasse solo di un sogno, e che presto mi sarei svegliata. Eppure non vedevo nulla, se non il momento che stavo vivendo. Il mio animo si tranquillizzò, e rivolsi il mio sguardo curioso e attento ai Fondatori. 

Chiusi alcuni secondi gli occhi per realizzare quanto era successo. 

Rivissi per alcuni istanti la morte di Vì e il mio lungo percorso di accettazione della mia perdita, gli sguardi di Lorenzo e quelli degli altri Guardiani. Tutto era diventato parte di me, e finalmente non mi sentivo più estranea a quel mondo. Infatti, ne ero diventata parte integrante. Il cuore non mi doleva più e la ferita di quel 19 maggio si era cicatrizzata. Le mani erano calde, e non tremavano, le strinsi in un pugno e riaprii gli occhi convinta, più di quanto lo fossi mai stata. Il mio viso leggermente abbassato rivolgeva la sua attenzione ai Padri.

In un attimo tornò la lucciola. Si fermò davanti i miei occhi poi si illuminò d'immenso e iniziò la sua danza. Ben presto atre lucciole si staccarono dalle rocce della grotta e si unirono. Mi girarono attorno sempre più luminose, fino a che non distinsi più nulla. Allora, anche io seguii i loro movimenti, e mi misi a girare su me stessa. Senza che me ne rendessi conto mi ero sollevata in aria, ancora avvolta da quel calore. Avevo i piedi penzolanti, la mente assorta in quello spettacolo. Finalmente riavevo quelle ali che mi erano state tagliate. Intorno a me si creò un vortice di ricordi, che ritraevano Vì. Sentivo la sua voce, la sua essenza, sentivo di nuovo me stessa. Un vento fortissimo iniziò a soffiare, e dal mio petto vidi fuoriuscire un fumo nero. In esso c'erano i miei demoni, i miei mali, la strada verso l'autodistruzione che avevo intrapreso, prima di accettare l'aiuto di Lorenzo, prima di comprendere quale verità si celasse dietro quell'avventura. I miei capelli svolazzavano nell'aria, sempre più illuminati. D'improvviso mi resi conto della mia metamorfosi: ero diventata parte di quello stesso chiarore che mi circondava. Avvolta dal momento chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare.

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