Capitolo 25: Protezione

5 2 0
                                    

Ero in infermeria. L'odore sapeva di disinfettante, acqua ossigenata e altri agenti chimici. Intorno a me c'erano carrelli e scaffali con medicinali e oggetti per la medicazione di ogni genere. Chiusi e riaprii gli occhi appannati più volte, poi girai lo sguardo. Alla mia sinistra, nel letto accanto, c'era Terra, ancora sotto osservazione. I lividi ancora visibili sul volto, una gamba ingessata, ma il corpo decisamente meno gonfio dell'ultima volta che lo avevo visto. Il mio primo pensiero andò a Lorenzo. Fu una cosa nuova e diversa dalla solita routine quotidiana, che negli ultimi mesi avevo vissuto come fosse un meccanismo ormai automatico. Nonostante fossi attiva, non versai neanche una lacrima. Per pochi secondi evitai i miei pensieri, riuscendo ad avere la meglio su di loro, poi cedetti. Nel mio braccio destro avevo una flebo, nell'arto sinistro uno sfigmomanometro, all'indice di una mano il saturimetro. Presi fiato, poi mi alzai, mettendomi a sedere. Mi staccai ogni apparecchio e scesi dal letto. Solo allora mi accorsi del mio fortissimo mal di schiena, forse causato dalla caduta improvvisa, ma tremendamente attesa. Camminai verso la porta e la aprii. Senza pensarci mi buttai nel corridoio vuoto, e anonimamente grigio. Presi a camminare sempre più rapidamente, quasi volessi fuggire. Passai davanti alla cucina, e mi fermai oltre la soglia, senza oltrepassarla. 

Fissai il mio sguardo su Lorenzo. 

Era stanco, affaticato: stava versando il caffe nella tazza, ma rispetto a me, senza perdersi nei suoi pensieri. Il mio sguardo era stranamente dolce, e lo osservavo con premura: le sopracciglia accigliate per la tenerezza, non per la rabbia, le labbra rilassate sulla pelle. Non volevo avvicinarmi, sapevo che se lo avessi fatto sarebbe andata come tutte le altre volte: non avrei detto e fatto ciò che volevo davvero, mi sarei lasciata trascinare dai sentimenti. Non potevo, non di nuovo. Non volevo farlo soffrire. Non volevo trascinarlo con me nel mio dolore. Distolsi lo sguardo e avanzai di un passo verso la mia stanza. Guardavo a terra i miei piedi scalzi e nudi che si muovevano lentamente. Feci per velocizzare i miei atti, ma fui interrotta da alcune voci dietro di me. Erano Aqua e Ignis. Erano appena entrati in cucina e parlavano.

«Hai saputo che Ginevra è svenuta sul campo di battaglia?»

«Sì. E lei dice di essere adatta a ricoprire il ruolo di Guardiana. Fortunatamente non lo è più»

«Effettivamente hai ragione. Una vera incapace, è qui solo perché la Lion tiene a lei, solo perché lei non voleva che stesse da sola dopo che il suo elemento è morto»

«A proposito, com'è che l'ha chiamato? Vì? Che nome da bambina»

«Ma se ci pensi lei lo è»

Le parole scorrevano giù dalle loro lingue senza filtri, senza bloccarsi in gola. Ogni loro frase era superficiale, raccontava uno stereotipo, un pregiudizio. Perché stavo lì e non fuggivo? Perché li ascoltavo? Loro non vedevano cosa stavo provando. Senza testare sulla propria pelle, sentendola bruciare a ogni passo, senza percepire quelle fitte allo stomaco a ogni respiro, non avrebbero mai potuto comprendere il mio dolore. Nessuno poteva. Forse in parte solo Lorenzo. Mi poggiai al muro, perché sentii le gambe cedere, mi rannicchiai a terra, coperta solo dalla mia vergogna, dalla mia depressione. Mi sentii di nuovo frantumata, e iniziai a raccogliere i pezzi della mia anima sparsi in giro per i miei ricordi. Mi presi le gambe tra le braccia. Tentavo di chiudermi in un guscio, ma ormai ne ero privata da tanto. Il mio animale guida non svolgeva più il suo lavoro. Mi aveva lasciata in una selva, in un lago sotto il ghiaccio ad annegare lentamente, mentre i miei demoni mi trasportavano sul fondale. 

«BASTA!» una parola che mi fece sobbalzare. Non era della Lion, eppure sembrava il suo tipico tono di rimprovero. A quel suono così fermo e rassicurante una mano iniziò a battere sull'acqua raggelata, frantumando quel sottile strato che mi nascondeva dai raggi solari. Mi rappresi e alzai lo sguardo, ritornando ad ascoltare quelle parole. 

«Adesso basta.» ancora, un coraggio che mi faceva tremare.

«Scusa, cosa hai detto?» 

«Ho detto che la dovete smettere»

«Chi sei tu per parlarci così?»

«Hai ragione non sono nessuno, non qui dentro. Ma sono molto più di voi. Io non bullizzo le ragazze, non parlo alle loro spalle» ora riconoscevo la voce decisa. Lorenzo. Alzai la testa, e arrestai le lacrime, stando attenta ad ogni parola. «E pensare che hanno scelto voi tre per essere i Guardiani della nostra sicurezza. Voi che non avete neanche un minimo di empatia»
Mi alzai in piedi velocemente, sporgendomi sulla soglia. La mia visuale era parzialmente coperta dalla schiena del ragazzo. Tuttavia le parole mi giungevano forti e chiare, e riecheggiavano come un'eco tra i miei neuroni.

«Ma cosa c'è da aspettarsi da degli ipocriti egoisti come voi? Dopotutto non siete voi gli afflitti. Insultate Ginevra e Vento, e pensare che sono parte del vostro stesso mondo.»

«Come osi?»

«Zitto» Il tono deciso e puntuale. Il dito di Lorenzo si rivolse all'altro ragazzo, un'azione che fece rabbrividire tutti. «Voi non capire, vero? Ma come potete? Non siete voi a soffrire. Avete almeno idea di cosa si provi ad avere i sensi di colpa, a non dormire la notte, riuscendo a svenire solo per la stanchezza? Sapete cosa si prova ad avere la testa affollata di emozioni negative, a dedicare ogni battito e respiro a una persona che non c'è più? No, voi sapete ferire e basta, aggiungendo solo combustibile al fuoco che arde nel petto di Ginevra. Non state pensando a salvare il mondo, la state mettendo in prima linea attendendo che cada di fronte a voi. Non volete aiutarla, la volete fare fuori. Lei, invece, vi sta aiutando. Nonostante stia male e soffra è qui a rivivere ricordo dopo ricordo i momenti passati con Vento, a tentare di evitare che un maniaco psicopatico con poteri sovrannaturali distrugga l'Agenzia e forse il mondo intero.» 

Non vedevo il volto di Lorenzo, eppure riuscivo a immaginarmelo di fronte: era come se fossi lì davanti a loro ad ascoltarli. Una lacrima mi cadde lungo la guancia. Era bello sentirsi protetta, avere una persona che mi faceva da scudo, che mi difendeva. Era liberatorio sentirsi capita, ascoltata, compresa. Era magnifico avere una persona come lui che mi aiutava a sorreggere un peso che mi stava schiacciando. Lo conoscevo appena, eppure mi sembrava di non averlo mai compreso davvero. Avevo annebbiato la mia vista con i pregiudizi, come stavano facendo e avevano sempre fatto gli altri Guardiani. Eppure, per un attimo ero riuscita a parlare sinceramente, per un momento la mia maschera era caduta, lasciando che Lorenzo vedesse le mie cicatrici. Anche io avevo osservato da vicino le sue. In fondo quando lo avevo conosciuto le avevo percepite. La prima volta che aveva varcato la porta dell'Agenzia guardando i suoi occhi color delle nocciole le avevo viste. Passai la mano sulla guancia per asciugarla dall'ultima goccia di tristezza, e tornai ad ascoltare.

«Ti sbagli, questa è la verità. Sei tu che sei oggettivamente nuovo. Non sai come funziona questo posto.» La voce di Aqua insopportabile. «E in ogni caso non volevamo dire ciò che abbiamo detto, non per ferirla, solo per darle dei consigli. Qui si giudica di continuo l'operato altrui» ora tentava di giustificarsi. Sembrava che la forza nascosta di Lorenzo avesse colpito anche lei. Un animo tanto forte, eppure nascosto, tenuto segregato e incatenato sotto quel viso rilassato, gli occhi fastidiosamente sfuggenti, una sola espressione mantenuta invariata, una storia nascosta.
«Invece sì, volevate. Ma va bene così. Non ha senso discutere con gli ignoranti del bene, capirete solo quando vi troverete al posto di Ginevra. E mentre voi non ci siete per lei, lei ci sarà per voi. Perché lei saprà capirvi, ascoltarvi, aiutarvi, salvarvi. Intanto, però, ricordatevi: la virtù è un tipo di scelta.» Le parole si conclusero sincere, dolci, facendo arieggiare un eco nella mia testa, che nel profondo risvegliò qualcosa. 

I due Guardiani non dissero più nulla. Si allontanarono, con lo sguardo svuotato dalla loro stessa crudeltà. Lorenzo era stato bravo. Si era imposto come io non avevo mai voluto tentare in quelle settimane, forse perché non riuscivo neanche farlo su me stessa. Lanciai ancora uno sguardo all'interno della cucina, vedendo il ragazzo che era tornato alla sua tazza di caffè, e al suo solito sguardo dolce, sincero, celato da due occhi luminosi ma bassi. 

Eppure qualcosa era cambiato da prima. 

Nonostante la stanchezza il viso era più chiaro, lo sguardo più sveglio e, nuovamente, sfuggente. Prima che mi notasse ferma sulla soglia della porta, mi ritrassi. Coperta dal muro, irrigidii la schiena, mi diedi una sistemata, e, poi continuai per la mia strada.

Guardiana_ObscurityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora