Capitolo 23: Attacco

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Mi ritrovai in mezzo a una spianata di ghiaia. Qua e là c'erano alcune macchine parcheggiate. Da lontano giungevano voci di persone. L'aria era fresca, i cuffi d'erba, che spuntavano qua e là, bagnati dalla recente pioggia. Quell'estate era particolare. Sembrava quasi rispecchiare il mio animo. Il cielo soffriva come me, piangendo giorno dopo giorno. Forse era un segnale della sofferenza di Vì, forse voleva mostrarmi il dolore dei suoi ultimi istanti, o forse guardava come mi ero ridotta biasimandomi. Dopotutto ero fuggita nell'eccesso, nello struggimento, e lui non poteva fare altro che osservarmi attraverso l'ultimo minuscolo frammento della sua essenza con rimprovero, disapprovazione e soffrire per ciò che ero diventata.

Non mi fidavo di nessuno. Dopo anni non avevo ancora imparato a distinguere i nemici dagli amici, così rimanevo distante da tutti. Era sciocco rifiutare l'aiuto di chi me lo offriva per non vedermi morire lentamente, ma preferivo soffrire in silenzio. Troppe persone all'ASG mi avevano ferita, esclusa, e si erano mostrati crudeli nei miei confronti. Volevo solo fuggire dalla realtà, ma neppure il sonno lo permetteva più. 

Passavo le notti vagabondando per la base, sperando che uno svenimento improvviso mi facesse crollare, aspettando che qualcuno venisse a prendermi, attendendo che quella parte di me che ancora credeva nel mondo morisse e mi lasciasse definitamente, così come la simpatia che iniziavo a provare per Lorenzo. Avevo sensi di colpa, eppure aspettavo che si dissolvessero. Ma la verità è che stavo immobile in un angolo della mia vita, che da protagonista ero divenuta solo sfondo. 

Facevo la vittima solo perché non avevo la forza di reagire. 

Non avevo la forza di dire basta. Non avevo la forza di arrampicarmi lungo le pareti del burrone. 

La verità è che mi ero allontanata volontariamente da tutti coloro che amavo, che mi ero isolata perché credevo che avrebbe avuto un sapore più dolce soffrire da sola. Ma mi stavo solo autodistruggendo. Credevo di aver fatto una cosa imperdonabile permettendo la sua morte, non soccorrendolo, ma ero una persona orribile? La verità è che avrei potuto non precipitare in quel baratro, e salvarmi da sola, che avrei potuto farmene una ragione e andare avanti con la mia vita. E invece vivevo nel rimpianto perché non ne ero stata in grado, vivevo nella rabbia perenne perché permettevo che le mie energie si riversassero sui Guardiani. Ma ne valeva davvero la pena? Nella mia mente c'era il caos che si insinuava in ogni angolo, attutendo il rumore di ogni emozione positiva: la loro musica era stata svuotata dallo shock di quel 19 maggio. Dall'interno vedere quel mutamento di me stessa, avvenuto così velocemente, rendeva tutto surreale. Come se il mio castello di carte fosse crollato, come se il quadro fosse d'un tratto stato ridipinto, ma non da me, bensì dal mio dolore.

Eppure la rugiada si discioglieva nell'aria con il calore del sole, tornato nuovamente ad essere estivo. Magari mi aspettava un cambiamento repentino o la vendetta. Intorno a me c'erano solo alberi con foglie lucide e splendenti. Sembrava che il temporale non le avesse sconvolte. Mentre dentro di me era stato tutto mandato all'aria. Mi osservavo attorno sperando di incontrare Obscurity, di combattere con lui. 

Comunque sarebbe andata quell'avventura mi sarebbe andata bene: avrei accettato la sconfitta e la vittoria. 

I miei stivali erano stati inumiditi dall'erba del prato circostante. Il sole scaldava la mia pelle, facendomi sudare sotto quell'armatura. L'aria era pesante e mi schiacciava avvicinandomi a terra. Mi pareva che quest'ultima mi stesse inghiottendo. Anche quello era stato un luogo felice. Pareva che Obscurity volesse farmi soffrire, facendomi ricordare momenti del mio passato trascorsi con Vì. Ma perché? Pareva che sapesse tutto di me, ma come? Prima l'ASG, poi la scuola e adesso quel parco. Rammento che correvo mentre Vento mi pettinava i capelli, con un sorriso sincero stampato sul volto, un sorriso che non vedevo più da tempo. Allora indossavo una maschera, o era quella la mia vera natura: vendicativa, dominata da poche, forti e spesso contrastanti emozioni che si mescolavano continuamente nella mia mente? I miei pensieri mi avevano di nuovo travolta. Succedeva sempre più spesso. 

D'un tratto, però le ombre iniziarono ad allungarsi, ed il sole parve tramontare. Le fronde degli alberi riflessi sulla ghiaia divennero mani, che tentarono di allungarsi verso di me. Indietreggiai. Una figura si innalzò alle mie spalle. I capelli bianchi, e il mantello scuro, gli occhi immensamente neri, che risucchiavano il mio sguardo. Era lui. Era Obscurity. Era lì. Lo stavo aspettando. Ci osservammo, ma nessuno dei due sembrava avere intenzione di iniziare il combattimento. Lui stava lì fermo, immobile, così partii io. Gli corsi incontro cercando di colpirlo, ma lui sparì. Mi ricomparve alle spalle, ma io riuscii a voltarmi in tempo. Feci un passo indietro, e strinsi la presa della lancia finché le nocche non mi divennero bianche. La rabbia iniziava a salire, e la sua temperatura iniziava a farsi sentire. Mi lanciai nuovamente in avanti, cercando di nuovamente di ferirlo. Tuttavia appena lo sfiorai si dissolse e mi riapparì accanto. Andò avanti così a lungo, ma io non mi arresi, accecata dalla furia continuai a tentare di colpirlo, invano. Lui sorrideva vedendo i miei sforzi. I suoi occhi neri mi seguivano passo dopo passo. A ogni attacco riuscivo a vedere il mio riflesso, e quasi mi facevo paura. Ero diventata un mostro: la faccia pallida, gli occhi scavati dalla stanchezza, le occhiaie che mi si allungavano lungo le guance. Neanche il trucco avrebbe potuto coprire quell'orrore. 

Ed io continuavo a lanciarmi all'attacco: vittoria o sconfitta non mi sarei arresa così facilmente. Avevo intenzione di battermi. Era l'unico modo che avevo per scaricare la mia rabbia, e sentirmi brevemente meglio, per sperare che sarei finalmente crollata in un sonno profondo. Continuavo a girare su me stessa tentando invano di colpire Obscurity. Mi serviva un'altra strategia, altrimenti come potevo vincere un'ombra? Non potevo continuare così. La fatica iniziava a farsi sentire, ed io ero vulnerabile. Smisi di attaccarlo e mi spostai più lontano che potei. Osservavo la sua figura avvicinarsi, e, ancora, a tratti comparire e scomparire. All'ultima sua apparizione mi lanciò un dardo nel braccio sinistro. Ignorai il dolore, perché i sentimenti erano molto più forti. Se volevo colpirlo dovevo aspettare, capire dove si sarebbe trasportato e coglierlo di sorpresa. Schivai un'ombra che l'uomo scagliò verso la mia direzione, mi lanciai a destra, poi girai e la colpii. La lancia la tagliò lungo il fianco, ed essa divenne solo fumo. Obscurity smise di sorridere e ciò mi fece piacere. Ma non dovevo rallegrarmi troppo. Non era il momento per lasciarsi andare a futili emozioni, e farsi sopraffare dalla gioia. Anche se in fondo era tanto tempo che non la provavo più. I sentimenti erano divenuti sempre più passeggeri e brevi, fino a quando erano stati vinti dalla rabbia e dalla depressione. 

Obscurity prese a colpirmi da tutte le direzioni. I dardi erano tanti, e io non potevo fare altro che cercare di non farmi ferire. Schivai il colpo frontale, spostandomi alla mia sinistra. L'uomo ebbe il tempo di trasportarsi alle mie spalle ed io, resami conto di ciò, mi abbassai. Rotolai in avanti. Eppure continuavo a sentirlo alla mia destra. Cercai di alzarmi il più velocemente possibile. Un colpo nemico mi colpì sotto a una costola. L'altro rimbalzò su uno scudo, che comparve per proteggermi. Rivolsi lo sguardo verso la figura alle mie spalle. Era Lorenzo. Teneva il braccio teso in avanti con lo scudo. Mi aveva protetta, ma che ci faceva lui lì? Il ragazzo riabbassò l'arma di bronzo, ma rimase alle mie spalle. Sembrava avesse paura: in fondo non era mai stato su un campo di battaglia. Se guardavo Lorenzo vedevo che indossava un'armatura come la mia, e aveva, ancora nel fodero, una spada. Obscurity notando il mio sguardo distratto, scomparve. Mi avvicinai al mio "collega". Ero pronta ad esplodere, aveva fatto scappare il nemico. Aveva permesso che la mia occasione, quella che credevo fosse la mia terapia, si volatilizzasse in una nuvola di fumo nero. Una voce, però, risuonò nell'aria prima che potessi aprire bocca.
«Abbiamo i soccorsi vedo, peccato che non ti aiuteranno.» disse. Ricomparve davanti a noi, senza che avessimo il tempo di reagire. Tornò ad attaccare. Cercai nuovamente di colpirlo e per poco non ferii Lorenzo. La sua presenza mi innervosiva, mi stava solo intralciando. Il nemico, al contrario, era divertito dalla situazione. Tuttavia non risparmiò i colpi. Indietreggiammo, cercando di evitare i suoi attacchi, ma le nostre spalle toccarono una superficie dura, e i nostri movimenti furono impediti. 

Eravamo in trappola. 

Obscurity lanciò un altro dardo, ed io, cercando di evitare un colpo mi spostai a sinistra andando a sbattere contro Lorenzo. Voltai il mio sguardo, ma non vedevo via di uscita: un capannone alle nostre spalle, una siepe a destra. Vidi altri colpi venirci incontro, ma Lorenzo alzò lo scudo. Tuttavia eravamo ostacolati in ogni altro movimento. Pensai che sarei morta, e in parte ne ebbi paura. Tuttavia non volevo arrendermi, anche se non avevo via d'uscita volevo fuggire. Ancora una volta speravo di farlo. Era diventata un'abitudine. 

All'improvviso caddi all'indietro, ritrovandomi all'interno del vecchio capanno in legno. La porta venne rapidamente chiusa, ed Obscurity scomparve. Eravamo bloccati là dentro.

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