Capitolo 24: Sincera

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«Perché sei qui?» la mia voce acuta, le parole che come al solito uscivano dalla bocca senza che riuscissi a fermarle, senza che rispecchiassero ciò che davvero volevo dire. Avrei solo voluto dirgli grazie, e invece lo azzannavo come una preda. Non avevo imparato nulla dall'ultima nostra conversazione.

«Sono qui per aiutarti» mi rispose Lorenzo. La voce decisa, i suoi occhi fissi sui miei. La sua risposta non era sbagliata, mi aveva salvata, eppure perché sentivo di doverlo affrontare con crudeltà?

«Non dovevi, avevo tutto sotto controllo»

«Invece no. Hai perso il controllo, non tieni più il timone della tua nave da molto tempo. Non sei più la ragazza che ho conosciuto. Sei diventata crudele, una bestia rabbiosa, che non sa affrontare le sue emozioni, che si fa sopraffare da queste.» Non aveva tutti i torti. Ma facevo finta di non ascoltarlo. 

La verità è che la realtà era dura da accettare. 

Ero caduta troppo a fondo per rialzarmi. Intanto cercavo un modo per uscire, dando pugni alla porta. Cercavo di non rispondergli, perché non sapevo cosa dire. Ero divisa, e per un attimo la parte migliore di me sembrò avere la meglio, poi fu di nuovo rinchiusa in un angolo della mia coscienza. Iniziai a piangere, anche se non sapevo esattamente per cosa lo facevo: per Vì, per le parole del ragazzo, che avevano di nuovo centrato il bersaglio, o per le emozioni che mi avevano di nuovo annegata. Per cosa piangevo? Perché ogni cosa che usciva dalla bocca di Lorenzo mi si insinuava nella mente? Perché allora non gli davo retta? Cercavo in tutti i modi di distogliere i miei pensieri dal ragazzo, eppure non ci riuscivo. Mi era penetrato dentro, portando con sé una minuscola luce, una lampada. E forse finalmente stava facendo luce. Forse dopo tempo avrebbe portato un po' di ordine nella mia testa così confusa.

Eppure io continuavo a colpire la porta, cercando di forzarla, senza fare caso alle nocche che mi erano diventate rosse, senza capire che non avevo più forze. Mi lasciai cadere sulle ginocchia con la testa bassa. Le lacrime che cadevano ancora una volta sul pavimento.

«Tu non capisci. Tu non puoi capire.» Gli dissi. Le prime parole sincere che dissi dopo molto tempo. Due frasi che lo fecero avvicinare.

«Ti sbagli» Il mio sguardo d'un tratto decise di girarsi verso il ragazzo, che ora aveva gli occhi lucidi. Si avvicinò a me e, chinatosi, mi posò la sua mano sulla spalla. Sentii il suo calore. Per un attimo smisi di piangere, e lo guardai sorpresa, arrestando per un momento le mie lacrime. A bocca aperta aspettavo il continuo della sua frase, aspettavo quella che sapevo sarebbe stata la svolta.

«Io ti posso capire, anni fa ho perso mia madre» Una lacrima gli correva velocemente lungo la guancia, rigandola, e ad essa ne seguirono altre. Non sapevo che dire, o cosa fare, perché avevo perso una parte della mia umanità, così rimasi lì a osservarlo. Era sincero, e forse era ora che lo fossi anche io. Ma cosa dovevo fare? Parlargli? Con i modi che avevo avrei solo peggiorato le cose. Bastava un gesto, come lui aveva fatto con me. Quel gesto che mi aveva scaldato il cuore all'inizio della nostra avventura. Mi avvicinai e lo abbracciai. Percepii la sua tristezza intrecciarsi con la mia. Mi sentii sollevata, capita, una parte di me rinascere, la mia furia affievolirsi ed essere sostituiti da qualcos'altro: empatia. Aggiunsi le mie lacrime alle sue, che però, per la prima volta, erano liberatorie. Tuttavia l'attimo durò poco, poi ci allontanammo nuovamente. Tuttavia i miei occhi rimasero a precipizio sui suoi.

«Non lo sapevo» dissi, con voce addolcita.

«Ci sono molte cose che non sai di me» 

«E io che pensavo di conoscerti» per un breve attimo mi scappò una risata. Fu rivelatoria. Mi sentivo meglio, eppure il dolore bruciava ancora nel mio petto.

«Per questo sto cercando di aiutarti. Se non ti salvi da sola, nessuno lo farà per te, e prima te ne rendi contro, prima tornerai ad essere felice»

«Non so se potrò tornare ad essere felice»

«Sì che puoi. Devi solo volerlo»

«E se non lo volessi?»

«La ragazza che ho conosciuto il 19 maggio si sarebbe salvata»

«Come fai a dirlo? Mi conosci appena»

«Ho visto le tue diverse sfaccettature. È bastato questo» 

Bastava davvero così poco per conoscere una persona? Allora perché io non ci riuscivo? Perché non ci ero riuscita? Per quanto ci provassi riuscivo sempre solo a vedere le maschere che indossavano le persone, e mai cosa nascondevano sotto, o forse scorgevo solo ciò che volevo pensare? Non era il momento. Dovevamo pensare ad uscire, avremmo parlato più tardi, se il mio cuore non fosse tornato ad ardere, e se il mio animo lo avesse ancora voluto.

«Ora dobbiamo pensare ad uscire» distolsi i pensieri inutili in quel momento. La voce era dolce, sicura e piena di coraggio. Allontanai il mio sguardo da quello del ragazzo, alzandomi in piedi, tuttavia riuscii a percepire il suo leggero sorriso. 

Poi, il buio mi avvolse come una calda coperta, e senza che me ne rendessi neanche conto. Caddi all'indietro sul pavimento ligneo. Avevo il braccio che ancora sanguinava, il corpo pieno di lividi, il cuore pieno di tagli. La mia mente si spense come un interruttore, ed i capelli sciolti si dispersero nella polvere. Velocemente persi ogni connessione con la realtà, iniziando a vagare nell'oscurità senza sapere cosa fosse successo. Il corpo rigido si ammorbidì di colpo, ed io riuscii per un momento a dormire. I miei respiri non andavano più a Vì, ma a me. I miei battiti rallentarono e gli occhi si chiusero. Per un breve, incessante momento fui libera: le emozioni si dileguarono, andando ognuna nella propria tana, la tempesta cessò, i miei pensieri smisero di rincorrersi dietro i miei occhi, ed io smisi di percepire ogni stimolo esterno.

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