Capitolo 5: Ricerca

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Ero seduta in cucina, Lorenzo era davanti a me. Tenevo le braccia conserte vicino al mio petto. Sentivo il battito cardiaco lento e costante attraversare i miei vestiti. Il ragazzo stava dritto dall'altro capo del tavolo. Fissava e trascinava la mano destra sul legno. Aveva, invece, conserto lungo il bordo del tavolo l'altro arto.

Era il momento che stavo aspettando impaziente: quello delle risposte. Mi guardò e fece un lungo respiro prima di iniziare a raccontarmi quanto successo.

«Due...due giorni dopo il viaggio a Genova non ricordavo nulla, ma ho ricevuto un pacco. Qualcuno ha suonato alla mia porta lasciando soltanto una busta intestata a me. Anche se ero spaventato l'ho aperta e dentro ci ho trovato questo telefono...» Iniziò Lorenzo mentre mostrava il mio telefono.

«Non pensare male di me, ma...ma la password era scritta sulla busta e la curiosità era tale che...» fece una breve pausa. Lo guardai in viso e lui arrossì. La sua pelle chiara divenne rosata in pochi secondi. Abbasso gli occhi più volte evitando il mio sguardo e la vista del telefono. Era imbarazzante starlo a guardare.

«Continua» mi rivolsi a lui apatica e senza neanche guardarlo.

«Entrato ho iniziato a leggere i messaggi e ho scoperto molte cose su di te.» divenne ancora più rosso.

«La settimana seguente ho iniziato ad avere dei sogni con dei frammenti di ricordi tanto nitidi e reali... dopo poco, gli altri Guardiani si sono presentati alla mia porta chiedendomi se avessi tue notizie. Non so esattamente come, ma sapevano che stavo iniziando a ricordare qualcosa. Io, però, non mi fidavo e neanche sapevo di conoscerti, per me eri solo un'immagine nella mia testa. Hanno detto qualcosa, una frase in... in latino e dopo ciò mi ricordavo tutto. Poi mi hanno portato qui e mi hanno raccontato tutto e io ho deciso di aiutarli a trovarti. Non so perché, ma sentivo di doverti trovare e anche aiutare...»

«E perché ritieni di dovermi aiutare?» Chiesi avvicinandomi d'impulso a lui. Allungai le braccia, e lo guardai appoggiata al tavolo.

«Non so, è solo una sensazione...»

«La mia sensazione è che tu sia un bugiardo, che non sa neanche mentire bene. Sei imbarazzante.»

Rimase alcuni minuti in silenzio, sempre evitando il mio sguardo. Poi inspirò e sospirò profondamente. Riprese a parlare con voce più profonda e calma, cercava di reprimere le parole che avrebbe voluto rivolgermi.

«In ogni caso la tua migliore amica va al parco tutte le sere e ho pensato che... che ci andassi anche tu, sai per...» troncai le sue ultime parole sul nascere con un cenno della mano. Voltai il viso lontano dalla sua persona, guardando la porta a occhi socchiusi. Non avevo bisogno di essere aiutata, volevo solo fuggire, per non fare più ritorno.

Mi allontanai senza dire una parola e mi ripresentai in palestra. Non c'era nessuno così rimasi per un po' in solitudine. Presi una lancia e iniziai ad esercitarmi. Non era come la Lancia del Destino, così potente, fresca e leggera. Questa pesava, a ogni colpo mi feriva nell'animo. Il sangue sgorgava ancora dalla pugnalata del 19 maggio. Le ferite non si chiudevano né si cicatrizzavano. A ogni colpo sentivo dolori ovunque, nel petto, sulle mani, alle gambe. La sofferenza era così insopportabile che caddi in ginocchio con l'arma in mano e scoppiai in un pianto. Le lacrime cadevano sul mio viso come acido, distruggendo la pelle. Alcune caddero sulle braccia e sulle gambe, altre in terra. Quelli erano i semi del dolore che si erano impiantati dentro di me, come erbacce, uccidendo il mio giardino, la mia vita.

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