Capitolo 26: Duello

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Una casa abbandonata di campagna si stagliava in penombra davanti a me. Era quasi il tramonto. Erano passate ore da quando avevo aperto gli occhi, da quando avevo svolto l'addestramento, da quando avevo visto l'ultima volta Lorenzo prima di lasciare l'Agenzia. Mi ero allontanata da sola, sfuggente come un felino per raggiungere quel luogo. Ero partita per una missione solitaria per ritirarmi dall'aria soffocante dell'ASG e di tutti coloro che ci lavoravano. Avanzavo con cautela mentre il sole alle mie spalle calava. Erano quasi le nove e mezza e iniziavo ad essere avvolta dalla quiete inquietantemente affascinante della notte. Il mio cuore batteva veloce mentre mi addentravo nella piantagione selvaggia di castagne, lasciata in balia della natura da anni. 

Oltrepassai la soglia della porta semiaperta. L'ottone delle maniglie era fresco, ma ossidato, le mura di pietra esterne erano umide, scolorite dall'ombra serale, e scavate dalla pioggia. Avanzai. L'entrata era piccola, solitaria, ed il legno scricchiolava sotto i miei piedi. Tutto intorno a me era distrutto e lanciato alla rinfusa in ogni angolo. Schegge di ogni genere erano sparse sul pavimento, ed io ci passavo sopra senza curarmene. I vetri sporchi, quasi anneriti delle finestre nascondevano l'orizzonte, mentre tracce di rosso si allungavano a tratti sui muri. Le seguii. Scavalcando travi spezzate e frammenti di mobili abbandonati giunsi di fronte al luogo in cui era successo. Il luogo in cui avevano trovato i due corpi. Il salone in cui Obscurity aveva ucciso la sua famiglia. Ero lì per quello. Per vedere il suo passato, capirlo, e trovare un modo per batterlo. Era quello il mio compito.

I passi riecheggiavano nel vuoto, rimbombando tra le pareti sbiadite e coperte di muffa che mi circondavano. La luce sempre più fioca del sole filtrava attraverso le finestre spalancate o rotte. Il silenzio era spezzato solo dal rumore della natura che viveva, che soffriva, che continuava il suo ciclo vitale. A me non era stato possibile. Non ne ero stata in grado, non prima. Ma allora qualcosa era cambiato, lo sguardo di Lorenzo mi aveva risvegliata, le sue parole erano fiorite nel mio cuore arido, riuscendo a dare un frutto. Ci eravamo parlati negli ultimi giorni, in modo sincero, da amici. Avevamo pianto insieme, mostrato le nostre cicatrici, ed io ero arrivata a toccare le sue. Ci stavamo guarendo a vicenda. E ogni volta che vedevo il suo sguardo dolce mi si scaldava il cuore. Mi aveva seguita lì, in un'avventura fatale, a un passo dalla morte, e neanche mi conosceva. Come potevo ricambiarlo? Non riuscivo più a vederlo come un nemico. Urlargli non mi era più possibile, anche se in alcuni momenti venivo ancora sopraffatta dal dolore. Lui, però, non aveva cambiato il suo modo: era sempre gentile, umile, mi rimproverava. Non avevamo parlato della sua conversazione con gli altri Guardiani. Facevamo finta di niente, ignorando la velocità con cui il nostro rapporto era cambiato. Non era un nemico. Ci avevo messo settimane per capirlo. Non mi ero affidata al mio istinto, al mio cuore, ma solo alla mia testa, al mio dolore e come risultato avevo ottenuto la prigionia del mio animo. 

Vì non c'era più, ma le vecchie tende strappate danzavano al ritmo del vento, mentre il pavimento continuava a scricchiolare a ritmo dei miei passi. Avevo un'armatura lucente che brillava debolmente nella penombra. Sentivo il peso dell'aria carica di storia e mistero che avvolgeva la dimora dimenticata e ne ero quasi sopraffatta. Sapeva di dolore, pazzia, qualcosa che aveva portato alla distruzione, alla morte. 

Avrei potuto finire così. 

Avrei potuto divenire come Obscurity: rovina. Avrei potuto uccidere Lorenzo e stare a guardarlo su quel pavimento mentre esalava l'ultimo respiro, mentre il suo battito si fermava, mentre la Moira tagliava il suo filo.

Raggiunsi il centro del salone, ed un brivido mi corse lungo la schiena: un fremito che mi fece irrigidire i muscoli mentre scrutavo attentamente quella stanza, ormai quasi scura. Mi sentivo lo sguardo del mondo addosso, mentre assisteva all'attimo che avrebbe determinato il suo futuro. Ero un gladiatore in un'arena: sola, armata, furiosa, capace. Come un fantasma della notte emerse Obscurity. Apparve dal nulla, come se stesse attraversando il corridoio, anziché un muro. I suoi passi non si sentivano, e il suo respiro era silenzioso, mentre il suo sguardo bruciava di determinazione e malizia.

Senza esitazione, l'uomo attaccò scagliando le sue ombre. La precisione fu quasi letale, ma non abbastanza. L'aria fu colpita da un sibilo minaccioso, ma io reagì istintivamente. Mi mossi con agilità per schivarli, piegandomi a destra con i piedi ben saldi e incollati al parquet. Colpii e i nemici si smaterializzarono. La tensione nel salone era palpabile mentre io avanzavo lentamente, ma con sguardo sicuro. Ogni suo dardo si schiantava contro le pareti e si mescolava al battito frenetico del mio cuore, mentre attendevo di giungergli davanti. La carne della mia pelle era scaldata dal sangue che si miscelava con una velocità sempre maggiore alla mia sicurezza. Poi si arrestò, con ogni mio muscolo. Mi aveva colpito la gamba, doleva. Questa volta il dolore fisico era superiore, ma cercai di avanzare. Tuttavia quando rialzai gli occhi Obscurity era sparito. Mi riapparve alle spalle.

Alla sorpresa risposi brandendo l'arco e mirando con precisione. La freccia cercava il suo bersaglio, ma non ebbe abbastanza fortuna. Si blocco al suo mantello. Mentre il combattimento si faceva sempre più incalzante e feroce, divenendo un balletto di morte, ogni mio respiro era frenato, e la mia mente già vagava nel futuro ignoto, tra pensieri, emozioni e immaginazione. Il salone risuonava del clamore del metallo della mia lancia, dei miei battiti cardiaci e dei miei passi scricchiolanti. I suoi quasi non si sentivano. Si muoveva come una macchina, lentamente, a scatti, come se non fosse lui.

I mobili rotti e le travi marce assistevano silenziosamente alla nostra contesa, che speravo sarebbe stata l'ultima. Desideravo concludere l'avventura con una vittoria, e poi sparire silenziosa da quel mondo, per dimenticare. Tutto, ogni cosa. Forse volevo dimenticare quel giorno di sei anni prima, quando come una stupida mi ero fidata del vento, e lo avevo seguito per la prima volta. Avrei dimenticato parte di me, non sarei stata la stessa, ma mi andava bene. Non volevo vivere una vita così, se significava portare sulle spalle un peso fin troppo grande pieno di ricordi che non potevo più apprezzare, pieno di emozioni che mi sopraffacevano. 

Obscurity si fermò, come se mi attendesse. Mi avvicinai, pronta a colpirlo. Ero a un passo da lui quando una mano mi prese per le spalle circondando il mio decolté. Fui coperta interamente dal nero. Una forza magnetica mi attrasse al muro, e le ombre si incollarono ad esso. Dal buio notturno emerse un uomo. L'uomo, il mio nemico, mentre quello di fronte a me rimaneva fermo. Obscurity si avvicinò a me. Riuscivo a sentire il suo alito sulle guance, mentre sfiorava con le sue mani fredde il mio viso. Si voltò. Con un cenno della mano fece sparire il suo doppione, poi si mise di fronte a me. Ebbi paura. Ero sola, disarmata. Questa volta né Lorenzo né Terra mi avrebbero aiutati. Potevo morirei lì. Sarebbe successo. Mi ero affidata ai miei pensieri, non mi ero concentrata, avevo guardato al futuro ancora lontano ed ecco cos'era successo. Mi aveva immediatamente immobilizzata con destrezza e inganno. Dovevo immaginarlo che non avrebbe mai combattuto lealmente, che avrebbe fatto ricorso alla furbizia. Con un sorriso trionfante, l'uomo si fermò, lasciando che la notte inghiottisse il suono sinistro dei suoi passi. Allora li sentivo, mentre lo vedevo muoversi più fluidamente. Mi osservò alcuni secondi, poi aprì la bocca pronto a parlare. Era la fine. Avevo visto molti film che si concludevano così. Con un'ultima frase, un ultimo singhiozzo, una supplica. Ma io non lo avrei pregato di lasciarmi andare. Sarei morta con onore, mettendo finalmente fine alla sofferenza, allontanandomi permanentemente dal mondo. Avrei conosciuto le nuvole, avrei raggiunto Vì, forse. Avrei volato nel cielo blu, tornando per tormentare i demoni che mi avevano trasformata in quello che ero. Magari avrei vissuto un'altra vita, un'altra avventura, a meno che Obscurity non avesse voluto annientare la natura ed ogni suo essere. A meno che lui non avesse voluto schiacciare nel suo pugno le formiche che lo circondavano, distruggendo ogni cosa. Perché nessun è abbastanza coraggioso da attraversare l'oscurità. Solo chi ci ha vissuto dentro ha abbastanza fegato da addentrarsi nell'ignoto, nella distruzione, perché l'ha conosciuta, l'ha vissuta. Io potevo. Ma come? Eravamo un uccello in gabbia e una volpe, e lui mi avrebbe divorato, dopo avermi disfatta un mattone alla volta. Tra me e lui c'erano solo delle sottili sbarre di ferro, ed io a proteggermi avevo solo le mie ali.

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