Capitolo 4: Insospettabile

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I capelli biondi cadevano leggeri sulla fronte in modo alquanto disordinato. Gli occhi erano del colore delle nocciole e apparivano così profondi da far quasi trasparire parte del suo passato. Faceva la prima B Classico. Aveva scelto questo liceo perché non si sentiva a suo agio con i numeri. Per lui esistevano la letteratura, le lingue classiche e la filosofia: non la razionalità numerica.
Si chiamava Lorenzo, o almeno così mi aveva detto durante la breve conversazione che avevamo avuto a Genova due mesi prima. Non ero sicura che fosse tutto realtà. Allora non gli credevo più, si era presentato con le persone sbagliate e forse lavorava con loro da tempo. L'ira ribussò alla porta.

«Che cosa ci fai tu qui? Da quanto lavori con loro?» così ridussi al minimo le possibili domande da porre.

«Calmati» mi rispose subito lui. Sapeva cosa potevo fargli e nei suoi occhi vedevo la paura che cercava di celare. Ma in tutto ciò non sembrava conoscere quel mondo così a fondo. Mi fermai a osservare i suoi modi. Stringeva forte le mani e rigirava i palmi in continuazione. Non riusciva neanche a guardarmi negli occhi, ma fissava il pavimento.
«Posso spiegarti tutto» continuò.

«Ma non ora» interruppe la professoressa Lion «Ora abbiamo l'allenamento, e sei invitata a partecipare anche tu, Ginevra»

***

La palestra era di circa venti metri per quindici, quasi come un campo da basket. I muri bianchi rendevano l'ambiente luminoso. Il pavimento era in titanio. L'ASG, ossia l'Agenzia Segreta dei Guardiani, era un'agenzia di "spionaggio" ufficiale e indirettamente, finanziata dallo Stato.

Nessuno però sapeva della nostra esistenza.

Ciò era stato stabilito da re Emanuele II di Savoia quando i Guardiani dell'epoca lo aiutarono nella conquista della penisola. Così, per ricompensarli, diede loro la possibilità di creare l'Agenzia che da allora monitora e protegge il nostro mondo dalle minacce più profonde e oscure. Ogni materiale lì presente derivava da fondi datoci dal nostro Paese, e pensato appositamente per la realizzazione di infrastrutture adeguate all'utilizzo da parte dei Guardiani. Il titanio, in particolare, era un materiale caratterizzato dalla leggerezza e resistenza alla corrosione, anche di acqua salata, oltre che del fuoco, grazia alla sua alta temperatura di fusione.

Anche le pareti erano di questo materiale, e si stagliavano in altezza per otto metri in modo da sfruttare al meglio i poteri dei nostri elementi. L'ingresso conteneva una piccola sala di controllo che permetteva di monitorare i combattimenti, o le simulazioni.

La routine d'allenamento comprendeva un riscaldamento iniziale con semplici esercizi, un breve torneo tra avversari sorteggiati, infine, un combattimento tra volontari. Una volta a settimana si faceva un'esercitazione all'aperto e una volta all'anno una simulazione a sorpresa. Per il sorteggio dei duelli si utilizzava un'ampolla che conteneva i nostri nomi, o meglio come veniamo chiamati: Ventus, Aqua, Ignis e Terra.

Mi avvicinai alla boccetta ed estrassi il mio avversario. Aprii il biglietto e lessi: Terra. Ma non mi feci avanti, a fare il primo passo furono Ignis e Aqua. Mi oltrepassarono dandomi una spallata, e guardandomi con sospetto.

«Guarda e impara» dissero sottolineando quelle parole, mentre iniziavano a farsi intravedere le vene sulle mie tempie.

La porta della palestra si chiuse con un tonfo, ed io rimasi nella sala di controllo con la Lion e gli altri.

Aqua tentò immediatamente un attacco frontale di annegamento, ma Ignis rispose con un focolare. Ne derivò una fitta nebbia che mi impedì la visuale.

Ma sentivo le loro voci, i loro attacchi, le loro urla.

Quando la nebbia si disperse vidi Ignis a terra, mentre cercava di liberarsi dalla massa d'acqua che lo stringeva. La Lion aprì la porta della palestra e fece segno di lasciarlo andare.

Toccò a me.

Varcai sicura la soglia circondata da quelle pareti bianche. Non avevo più Vì, ma volevo farmi valere, rispettare, temere.

Feci alcuni passi in avanti, con una velocità sempre più insistente che danzava dentro di me. Mi voltai e fissai il mio avversario, mentre ormai eravamo soli: io e lui.

Terra innalzò immediatamente delle colonne di pietra, e si dispose su una di quelle. Arrivavano al soffitto e disposte in modo quasi ordinato assomigliavano a quelle di un tempio greco. Simili a quelle di una chiesa che, quel fatidico 19 maggio, avevo intravisto a Genova. Tutto il dolore mi raggiunse di nuovo così come numerose domande che attendevano risposta.

Dopo pochi secondi di stallo, il ragazzo partì subito all'attacco. Doveva rifarsi della sconfitta al parco, aveva perso il suo valore dopo essersi battuto contro di me. Ora aspettava solo la rivincita.

Loro però si erano messi contro la persona sbagliata e glielo avrei illustrato in modo alquanto chiaro. Il ragazzo lanciò schegge d'alberi. Cercai di deviarli con la lancia che avevo in mano, ma mi penetrarono la pelle del braccio. Un bruciore mi colse improvviso e repentino.

Ma non mi fermai.

Scagliai la lancia, ma mancò l'obiettivo. Tentai di raggiungerla, ma Terra cominciò a gettare massi. Correvo avanti e indietro per evitarli, seguendo con lo sguardo il mio obiettivo.
D'un tratto, caddi a terra, rotolando. Sentii una presa stretta alle caviglie. Guardai e vidi i miei piedi costretti da dei rampicanti, che si estendevano veloci verso le mie braccia.

«Vuoi continuare a lottare, o preferisci risparmiarti l'umiliazione?» disse sogghignando beffardo.

Ma io non lo ascoltai e cercai di allungarmi verso la lancia: era così vicina. Allungai le dita, finché non iniziarono a farmi male i muscoli, finché le dita non divennero bianche. Riuscii a sfiorarla. Mi tirai indietro, per darmi una spinta con il busto, ma un muro di terra grezza ci divise, e poi si estese tutto intorno a me, finché si chiuse a cupola.

Era buio, ma velocemente mi allungai verso i miei stivali. Strappai alcuni rampicanti con le mani, finché riuscii a infilare le dita nella calzatura destra. Tirai fuori il fodero ed estrassi il pugnale. Velocemente tagliai i rampicanti, mentre cercavo di respirare il meno possibile. Mi misi a sedere. Tentai di scavare con l'arma la mia prigione, ma non riuscii a scalfirla. Appoggiai entrambe le mani a terra e mi misi a ragionare. Il pavimento era ancora bagnato, ed io sentivo l'acqua a contatto con il mio corpo. Era fredda, e mi ricordava quel giorno di maggio in cui mi ero buttata a capofitto nel mare, in cui aveva tentato di annegarmi. Pareva che anche i Guardiani volessero lasciarmi senza ossigeno. Ma i miei polmoni non respiravano più dalla morte di Vì. A tenermi in vita era l'abisso dei miei sensi di colpa.

Ma non volevo comunque uscire vinta da quel duello. Anche se il battito si faceva più veloce, e il respiro sporadico, anche se sentivo le forze mancarmi.

Dovevo fare in fretta.

Presi ad ammorbidire la terra con ciò che rimaneva dal combattimento precedente. L'aria iniziava a mancarmi, mi sentivo quasi svenire. Poi, d'un tratto, la mia mano oltrepassò la cupola. Mi liberai e, velocemente, partii al contrattacco. Mi arrampicai sulle colonne giungendo alla sua altezza. Lo afferrai e lo trascinai sul pavimento.
Insieme rotolammo per un paio di metri, finché non piantai il gomito sul pavimento freddo e umido. Mi sarebbe comparso un notevole e impattante livido violaceo. Ma sarebbe stato un sacrificio ripagato.

Puntai il pugnale alla gola di Terra. Lui alzò le mani e soppresse il suo precedente sogghigno. La porta si aprì ed io mi alzai avvicinandomi alla sala di controllo, alle risposte che esigevo e di cui avevo bisogno.

Attraverso il vetro la prof. si mostrava orgogliosa, come se avesse sempre saputo che sarei arrivata a quel punto. Mi aveva addestrata con entusiasmo e amore, e mi guardava con un volto luminoso e orgoglioso del mio traguardo. Mi aveva resa una ragazza imbattibile, con gli occhi da bambina e lo sguardo sognante. Mi aveva illustrato strategie per abbattere ogni tipo di nemico e anche i miei compagni di battaglia, come se avesse sempre saputo il destino della nostra generazione.

Gli altri Guardiani erano stupefatti, così come lo era Lorenzo. Mi guardava come se non avesse mai visto nulla di simile, e ne aveva viste di cose se collaborava con l'ASG. I suoi occhi si illuminarono, tuttavia si spensero poco dopo quando Terra si allontanò, sussurrando a Ignis e Aqua parole incomprensibili.

Adesso mi stavo vendicando di quello che mi avevano fatto in quei sei anni. Nelle mie azioni mettevo tutto il risentimento che mi aveva consumata e speravo solo di arrivare a combattere al loro fianco.

Dopotutto ero io ad aver perso il mio elemento, ed ero io che cercavo vendetta.

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