Capitolo 29: Annientamento

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«Non è possibile, la Lion...» pareva che volessi discolparla, che tentassi di darmi un'altra spiegazione, eppure non ce n'erano. La verità era quella e lo sapevo perché in fondo mi ero sempre sentita legata indissolubilmente alla Lion, e a Obscurity, perché avevo sempre contato le nostre affinità, anche se solo ora non le vedevo più come delle casualità poste dal destino. Ma quale destino? Non ne avevo uno, non lo avevo mai avuto. E la Lion, che aveva lasciato che mi togliessero la libertà, che mi rendessero ciò che ero, ciò che sono.

«Chi? Loretta? Ha mentito a entrambi. Tutti ci hanno mentito. L'Agenzia ci ha usati.»

Le sue parole bruciarono, proprio come sperava, ed il mio sguardo si perse, divenendo nebbia trattenuta tra le labbra stropicciate, gli occhi umidi, e una mente sconvolta. Lui mi liberò e si allontanò. Il suo mantello era sospinto dalla corrente, mentre attraversava il corridoio. Io, invece, rimasi ferma, cadendo a terra sulle ginocchia. Ero annientata. Per anni avevo creduto di poter definire il mio destino, eppure era tutto una bugia. Avevo pensato che le mie decisioni fossero reali, e invece erano solo parte di un libro già scritto, e che solo allora riuscivo a leggere. Non ero protagonista della mia storia, della mia vita, ma un burattino. Mi voltai in lacrime verso gli altri Guardiani. Camminavano a passo lento lungo il corridoio opposto. Mi avevano lasciata lì, da sola, ancora una volta abbandonata a me stessa, mentre il mio passato veniva a galla travolgendomi. Si fermarono sulla soglia fissandomi, ridendo, indicandomi. Ricambiai lo sguardo con gli occhi vuoti. Faceva male, bruciava nel petto quella verità. Era una fiamma viva che si muoveva nel mio corpo, nella mia mente, ma non era piacevole. Mi scagliai verso gli altri. Ora potevano avere quello che avevano tanto desiderato: la mia fine, la loro vittoria. Nella lotta venni sbattuta violentemente contro il muro e caddi a terra ferita alla testa. Continuavo a fissare i loro occhi malefici, aspettando il colpo finale. Per la disperazione avevo deciso che l'avventura si sarebbe conclusa lì, con la mia morte. Attendevo contro il muro la loro mossa. Sentivo l'umidità alzarsi dal pavimento, rampicanti avvicinarsi, un calore raggiungermi. Chiusi gli occhi. Vedevo il nero del buio, assieme a qualche venatura rossa e blu. Avevo paura, eppure attendevo con ansia la fine di quella sofferenza, che non arrivò. Scorsi, ancora una volta, i miei ricordi, i miei sentimenti, i miei sensi di colpa, le mie aspettative. Dopo secondi di inutile attesa aprii gli occhi. Una spada tagliava le piante, uno scudo mi proteggeva dai colpi: era Lorenzo. Mi guardava mentre mi salvava, e mi parlò:

«Ora, Ginevra, devi fare una scelta: disperarti e lasciare che loro vincano» mi indicò oltre lo scudo, la mano non tremava, e neanche la sua voce. Era calmo eppure allarmato, forse non per me o non solo. Lo guardavo negli occhi e vidi la fine, la speranza, la salvezza.

«Oppure puoi scegliere di compiere il tuo destino» continuò.

«Un destino già scritto» dissi con voce distrutta e ancora in lacrime. La mia voce a stento si sentiva in quel rumore ripetitivo dei colpi contro il bronzo, eppure era acuta faceva risuonare il rumore di una ferita riaperta, che come un eco passava di monte in monte, da neurone a neurone.

«Il tuo destino era sconfiggere Obscurity. Tutte le azioni che hai fatto, le scelte che hai preso ti hanno formata come persona, come individuo, ciò per cui sei nata...»

«Stata generata, vorrai dire» lo interruppi. Non riuscivo a pensare ad altro, se non alla verità. Era una delusione, un'altra realtà incomprensibile. La vista era annegata dalle lacrime, e a stento riuscivo a vedere la figura di Lorenzo. Aveva i contorni sfumati, come da un'aura. Eppure sembrava preesistente. Mi pareva che si fosse intensificata da quando aveva iniziato a salvarmi. Lo stava rifacendo. Mi stava tenendo ancora una volta la mano mentre scivolavo giù da un burrone.

«Il destino del mondo è nelle tue mani. Tu puoi salvarti, salvarli, salvarci tutti. Non capisci che sta cercando di destabilizzarti. Attende una tua ricaduta psicologica per concludere il suo piano. Tu sei l'unica che può fermarlo. Che importa se sei umana totalmente o solo in parte? Il tuo dolore ha dimostrato che sei come noi: mortale.» da quelle parole trasparì la forza di Lorenzo, assieme a un pizzico di rimprovero. Continuava a farlo sempre più frequentemente per tenermi sul pezzo, per risvegliarmi, per darmi forza. Ancora una volta nel mio cuore si insinuò un seme, che iniziò a crescere. Un esperimento non avrebbe sofferto, avrebbe lasciato che ma morte di Vì nel tentativo di proteggermi fosse vana. Se fossi stata una macchina non avrei pianto, non mi sarei disperata, non avrei provato amore e odio, non mi sarei stupita per quella rivelazione fatale. Non ero solo umana, ero di più, ma mortale abbastanza da soffrire e vivere. Così lì, ancora a terra, con la schiena attaccata al muro e le gambe incollate al pavimento, decisi che quell'avventura si sarebbe conclusa con onore.

Mi asciugai le lacrime con una manica dell'armatura.

«Coprimi» dissi con sguardo d'intesa a Lorenzo.

Velocemente mi scagliai verso la porta, mentre il ragazzo mi accompagnava con lo scudo. Mentre correvo e lui mi seguiva i nostri sguardi si incrociarono. Eravamo due amici convinti, finalmente combattevamo insieme, fianco a fianco. Dopo settimane di lotta era riuscito a risollevarmi dopo la caduta. Era stato un nemico, una spalla su cui piangere, un collega, un compagno. Era un ragazzo sconosciuto, inaspettato, che era entrato in quel mondo per cercarmi. Solo allora me ne rendevo conto: era stato guidato dallo spirito di Vì.

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