Capitolo 17: Sentimenti

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Mi ritrovai in un corridoio con le pareti color verde oliva con diverse porte aperte. Sentivo delle voci in lontananza: alcune maschili e altre femminile. I colori attorno a me erano vividi, e non vedevo segno di polvere o ragnatele. Attentamente mi mossi in avanti sul lungo tappeto rosso e blu che conduceva verso l'uscita, che era proprio di fronte a me. Avevo già fatto quattro passi, quando sentii la mattonella cedere sotto i miei piedi, così velocemente mi tirai indietro finendo a terra. Una freccia perforò una parete e per poco non mi prese. La vidi quasi a rallentatore volare di fronte alla mia faccia, e in un attimo mi sembrò che la vita mi passasse davanti. 

Fui invasa nuovamente dai sensi di colpa, ma questa volta non per Vì. Forse quell'alba con Lorenzo avevo esagerato, forse meritava una seconda occasione. Ero stata crudele e presa dai pregiudizi forse avevo sbagliato. Solo allora iniziavo a rendermi conto che avevo bisogno di aiuto per risalire il mio pozzo. Respinsi, però, con tutte le mie forse questi futili pensieri e ritornai ad osservare l'ambiente circostante. 

Ancora stupita dalla mossa inaspettata vidi le mura intorno a me cedere per poi sgretolarsi, lasciandomi davanti a uno scenario agghiacciante. Era una stanza ottagonale, di circa tre metri per lato. Le pareti erano di uno strano materiale di colore grigio scuro e semiriflettente. Non vedevo né finestre né porte, se non quella davanti a me, che ora aveva cambiato faccia. Infatti, appariva più imponente e oscura, tuttavia sapevo che dietro ad essa giaceva la salvezza. Ancora a terra tirai con vigore il tappeto verso di me, e mi rimisi in piedi. Osservai attentamente le mattonelle che avevano inciso sopra dei numeri romani, sempre legati alla storia dell'ASG. Capii immediatamente che per attraversare la stanza dovevo solo metterli in ordine. Tuttavia sembrava troppo facile. Mi aspettavo un'altra mossa, un altro pericolo. Mi guardai attorno aspettando di scorgerlo, ma non vedendo nulla, così decisi con il cuore in gola di tentare la sorte. Iniziai velocemente ad associare a ogni lettera il rispettivo numero arabo, poi mi avvicinai alla mattonella con il numero uno e le percorsi in ordine crescente. Ero appena arrivata sul venti quando quattro figure nere apparvero davanti a me. Per la sorpresa persi quasi l'equilibrio ma mantenni salda la mia posizione. Guardai attentamente quei quattro, poi lanciai uno sguardo di sfida, che mi parve ricambiato. Ecco qual era l'inganno, l'ultimo tassello mancante di quella prova, o meglio di quel combattimento.

Il nemico si avvicinò a me, ma io continuai velocemente il mio percorso verso la porta, riuscendo a superarli. La mia priorità era evitare che le altre trappole venissero innescate. Ci tenevo a uscirne viva e, chissà, magari anche indenne. Infatti, nonostante le mie capacità fossero superbe non sarei riuscita ad evitare ogni freccia. Le quattro figure fluttuavano nell'aria e mi corsero dietro, raggiungendomi. Due di quelle si stazionarono davanti a me, in attesa di una mia mossa. Io mi fermai sulla mattonella e non mi mossi, tuttavia le fissavo attentamente. Poco dopo, però, sentii un leggero movimento d'aria accompagnato un rumore stridulo alle mie spalle. I miei istinti mi mossero velocemente verso destra, tuttavia il colpo nemico mi aveva ferita leggermente all'orecchio che sanguinava. Lo toccai e osservai alcuni istanti il sangue sulle mie dita. Il rosso era vivido e spiccava in quella stanza che aveva un'assoluta assenza di colore. Con uno scatto mi voltai e mi ritrovai circondata da quegli esseri. I due davanti a me si avvicinarono lentamente e poi cercarono di ferirmi. Alcuni colpi volarono nell'aria ed io mi abbassai riuscendo a stento ad evitarli. Un nemico venne colpito dal dardo lanciato dal suo stesso collega e poi divenne fumo nero: ne mancavano solo più tre. Presa dalla voga del momento decisi di rischiare, tentanti di utilizzare le uniche armi che avevo a mia disposizione: le trappole. Ancora a terra allungai prontamente la gamba verso una mattonella dietro di me. Feci scattare una veloce freccia che liberò le mie spalle e le circondò con una nube. Mi sentii fiera e orgogliosa di come avevo reagito. La mia mente era, però, occupata da sempre più dubbi che iniziavano a rendermi insicura sul mio passato e sul mio futuro: perché non avevo mai combattuto se ero la più forte Guardiana della mia generazione?

Intanto i nemici di fronte a me tentarono nuovamente di attaccarmi. Presa alla sprovvista allontanai nuovamente i miei pensieri, questa volta cercando di concentrarmi completamente sul combattimento. Per evitare i colpi mi spinsi all'indietro, e sbilanciata caddi sulla schiena, attivando altre frecce.

Tuttavia, nonostante il mio movimento le due figure riuscirono a ferirmi la gamba sinistra. Sebbene l'arto mi dolesse, cercai di rialzarmi e mi trascinai verso la mattonella successiva. Lì mi venne un'altra idea, probabilmente molto rischiosa, tuttavia tentai incosciente e senza altre opzioni. Mi diressi zoppicante verso le due ombre, passai tra di loro come se nulla fosse e nel momento in cui scagliarono i dardi, mi abbassai. 

L'aria divenne immediatamente una nebbia fitta: il nemico era divenuto fumo. Nel momento in cui la nube si disperse mi resi conto di dove mi trovavo. Riconoscevo le pareti bianche in titanio, il vetro oscurato davanti a me, che rifletteva la mia immagine. 

Non mi ero mai mossa dall'Agenzia. 

Il rapimento e le prove erano state tutte organizzate dall'ASG per l'allenamento annuale. Che sollievo. Mi sentivo meglio a sapere che, anche se il dolore era reale, quegli esseri, quella volta non lo erano. La professoressa si avvicinò a me. Per un attimo mi rammaricai, ripensando ancora una volta al mio passato, al mio vissuto, al mio dolore e ai sensi di colpa che mi avevano invaso poco prima. La Lion apparve sulla soglia della porta e si avvicinò lentamente. Era vestita di nero: indossava una maglia stretta con cuciture grigie, scollo rotondo e il retro cavo, tenuto insieme da due nastri bianchi, dei pantapalazzo che le arrivavano alla caviglia, un paio di sneakers bianche e nere e in testa un cappello da cowgirl. Mentre osservavo il suo abbigliamento giunse di fronte a me e si fermò. Poi mi guardò mentre si sistemava gli occhiali sul naso. Mi allungo la mano e poco dopo la aprì mostrandomi il pugnale. Fui felice di riaverlo tra le mie mani, di maneggiarlo di nuovo, di avere di nuovo quell'oggetto simbolo dell'alleanza stretta con l'ASG. Ma non era solo ciò: era anche amore, gratitudine, rispetto. Lo guardai fissa, senza distogliere lo sguardo, rivedendo per un istante la bambina di otto anni che lo aveva ricevuto. Nei miei ricordi ero giovane e spensierata, in quel presente ero distrutta ed egoista.

Intanto, la professoressa di mise alle mie spalle e poggiò su di esse le sue mani. Io alzai lo sguardo verso il suo, poi lo rivolsi nuovamente alla stanza che ora era occupata da una folla che gioiva e si congratulava. Si avvicinarono tutti battendo sonoramente le mani, aspettando un mio saluto, un mio cenno. Ma io stavo ancora realizzando quanto appena successo e tentavo di scavare nei meandri della mia anima alla ricerca del significato di tutti quei sentimenti che erano affiorati durante l'allenamento. La maggior parte di quelle emozioni era a me sconosciuta o dimenticata, perciò cercavo una spiegazione. Ma ormai ero in balia degli istinti irrazionali.
Non vedevo gli altri Guardiani e neanche Lorenzo, anche se quasi ne sentivo la mancanza. Non scorgere quel suo sguardo indifeso, impiccione, deluso, arrabbiato, in attesa, ma quasi amabile mi rattristava un po'. Tuttavia non mostravo la carenza del mio cuore, e continuavo a osservare la porta fermamente convinta e decisamente traballante. 

Intanto, attendevo impaziente la prossima mossa del nemico, pronta a sacrificare pedoni, anche se non ne ero più sicura. Tra quella folla scorsi dei capelli biondi e degli occhi riconoscibili, e inavvertitamente accennai un sorriso.

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