XXXVIII: Crowley

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Passarono giorni, il matrimonio era sempre più vicino, ma Crowley sembrava sempre più turbato. Mangiava sempre meno, a volte saltava pranzo e tirava fino a cena. Si erano verificati molti litigi, che non avevano portato a nulla di buono, era partito dal nulla come tutti gli altri.

<<Per favore, devi mangiare qualcosa!>> aveva detto Aziraphale al compagno, insistendo.

<<No, CRISTO!>>

<<Non mangi da ieri sera Crowley!>>

<<LO SO! PENSI CHE NON LO SAPPIA?!>>

<<CERTO CHE LO SO, SMETTILA!>>

<<ALLORA NON FISSARTI SUL CIBO, CAZZO! POTRÒ MANGIARE LA MINCHIA CHE VOGLIO?!>>

<<TI STAI SOLO FACENDO DEL MALE COSÌ! POSSO SAPERE COSA HO SBAGLIATO? DOVE HO SBAGLIATO? NON TI STO DANDO ABBASTANZA AFFETTO, È COSÌ?>>

<<N-no! Stai inventando cose!>> gli aveva risposto Crowley, quella volta con un tono più basso. Non lo aveva mai visto così arrabbiato

<<Pensi solo a te stesso>> aveva detto sussurrando, inclinandosi verso di lui e puntandogli il dito <<Non hai MAI pensato alla fatica che sto facendo io per supportarti, per provare a farti stare bene. Sai, sembra che non ti rendi conto a volte di quanto IO ci stia male quando ti vedo fare così, perché sembra che tutto l'aiuto che ti sto dando SIA INUTILE!>>

Il rosso rimase immobile, spiazzato da tutto quello che il biondo gli aveva detto. Adesso sì che si sentiva in colpa, tutto quello che Aziraphale aveva detto aveva un senso logico e lui lo aveva ignorato per tutto quel tempo. Il più basso se ne andò dalla cucina, prese il cappotto sull'attaccapanni e se lo mise.

<<D-Dove vai angelo...>>

<<Non lo so.>> aveva risposto freddo il biondo <<Da qualsiasi altra parte.>>

Era rimasto sa solo.
Sam quella sera era rimasto ancora a dormire da Charlie, in quel periodo lo faceva spesso.
Però, Crowley, non aveva nessuno in quel momento. Era rimasto ore ed ore a riflettere su quello che Aziraphale gli aveva detto, e cazzo se faceva male, era la cosa peggiore che qualcuno gli aveva detto.

La cosa bella è che aveva fatto tutto lui, continuava a credere il rosso, era colpa sua se erano finiti così, separati. Non poteva farci nulla però, il suo cervello era un grandissimo bastardo che troppo spesso gli diceva cosa fare, cosa mangiare e cosa non, diventando il suo primo nemico.

Voleva ignorare quelle continue frasi che il suo cervello gli diceva. "Ignoralo" dicevano "Non ti ama", "Gli fai schifo" e lui ci credeva, ci credeva fin troppo. Le pregava di stare zitte, loro non smettevano. Si faceva schifo da solo, tutte le cose brutte della sua vita erano acadute solo per colpa sua. Non riusciva a smettere di pensarlo.

Provò a placare quella forte e terribile sensazione che lo assaliva, andò in camera e si stese sul letto. Chiuse gli occhi, cercò di ignorare il fatto che accanto a lui non ci fosse Aziraphale, ma uno spazio vuoto, freddo, che aspettava di essere riempito. Non sarebbe tornato, non questa volta. E quando Sam lo avrebbe scoperto? Cosa gli avrebbe detto? Che stava male? Non sarebbe stato per nulla credibile.

Ma perché non riusciva a smettere di pensare a lui? Nonostante avesse rovinato tutto tra loro due in pochi attimi, il biondo era ancora nella sua testa a gridargli contro quanto ci avesse provato, quanto Crowley non si stesse nemmeno sforzando un minimo. Ci provava, a zittire quella voce che gli diceva di farlo, ci aveva provato ad ignorarla fino a quel momento, ma sembrava non voler stare zitta.

Era la stessa che gli diceva di non mangiar nulla, perché altrimenti sarebbe diventato orribile ed Aziraphale se ne sarebbe andato. Ma aveva fatto come essa diceva, smetteva di mangiare sempre di meno, così che aveva un problema in meno a cui pensare, aveva fatto ogni singolo dettaglio che gli veniva detto, ma non aveva portato a nulla di buono, solo peggioramenti.

Come poteva spiegarlo? È come quando si leggono delle istruzioni in polacco, riesci a leggere quello che è scritto davanti a te, conosci lettera dopo lettera, le conosci, sono sempre state quelle, ma poi ti rendi conto, dopo un'intera ora passata nel cercare di comprendere quell'intero libretto, che non hai capito assoluitamente nulla di quello che c'è scritto, non avendo la minima idea di cosa fare, sei perso, e ti ritrovi a rileggerlo e rileggerlo, per ore e ore, ma continui a non capire.

Era la stessa cosa che succedeva a Crowley, le sue regole sul cibo erano sempre state le stesse, le aveva sempre conosciute e sapeva che, finché il suo lui interiore glielo diceva, doveva seguirle. Lui proseguiva, faceva quello che c'era scritto, ma non capiva nulla del perché, ritrovandosi ad imporovvisare, perché in fin dei conti lui sapeva che stava soltanto provando a mettere in atto cose che mai aveva compreso fino in fondo, ed era finito così, ancora più solo di prima, a combattere contro chi, fino a quel momento, gli aveva detto cosa e come fare. Si era reso conto che in quel momento era perso, chi avrebbe seguito? Chi gli avrebbe detto cosa fare?

Non riuscì a chiudere gli occhi nemmeno per un secondo.
Era rimasto lì sul letto, a continuare a ripetersi quelle parole e a dirsi che non avrebbe aiutato nessuno farlo, però si sentiva in dovere, solo facendolo sarebbe riuscito a far smettere al lui interiore di stare zitto. Così andò in bagno, accese la luce, si guardò allo specchio per qualche secondo ed aprì la mensola, prendendo il rasoio. Ne estrasse la lametta, non con molta fatica, poi lo fece. Si era procurato uno squarcio di sette centimetri sul braccio, ma almeno il suo cervello aveva cessato di parlare, lo aveva finalmente zittito.

***

Aziraphale, appena uscito di casa, si diresse nel centro di Londra verso il motel più vicino a lui, avrebbe selezionato il primo che gli capitava. Ne trovò uno dopo due minuti di cammino, prenotò una stanza con un letto singolo e si distese sul letto, lasciando uscire dalla bocca un sospiro esausto. Cercava di non pensare a quanto accaduto, cercava di levarsi dalla testa che doveva tornare da lui e sistemare tutto. Non era colpa di Crowley, non la era mai stata, Aziraphale era semplicemente stufo di sopportare troppo problemi con il quale non aveva mai avuto a che farre, ed era la prima volta, era per quello che era così stressato e aveva reagito così.

Anche lui, come il rosso, aveva provato ad addormentarsi, anche lui cercava di zittire il lui stesso interiore che gli diceva di tornare a casa, alla sua vera casa, e di chiedere perdono al compagno. Non riusciva però a sopportare l'altro scenario che lo tormentava, un Crowley incazzato nero che non lo voleva mai più vedere. Non voleva accadesse, ma non voleva che finisse tutto così, in uno schiocco di dita.

Anche per lui, l'ignorare fallì.
Si alzò dal letto deciso, prese il cappotto e le chiavi ed uscì dalla stanza del motel, prendendo l'ultimo bus disponibile. Corse immediatamente a casa, aprì la porta girando le chiavi con fretta e andando in cerca del compagno per tutta la casa. Avrebbe controllato prima in camera se non fosse stato per i respiri affannosi provenienti dal bagno.

<<CROWLEY!>>

Il rosso non rispose, si limitava a piangere ad alta voce, così il biondo, giustamente preoccupato, irruppe nella stanza spalancando la porta. Se probabilmente incontrereste Aziraphale non negherebbe che quella era stata la scena più terribile della sua vita, sangue su pelle, mani, pavimento e lavello, e la cosa peggiore era che la persona coinvolta era proprio stata la persona che amava.

Immediatamente cercò un panno pulito, una volta trovato lo mise a contatto con la ferita e disse al rosso di premere su di essa.

<<Ehi, non svenire, sto chiamando l'ambulanza.>>

Uscì dalla stanza e si diresse al piano di sotto, proprio dove c'era la cornetta, digitò il numero del pronto soccorso e aspettò ansioso. Risposero dopo due squilli, diede l'indirizzò e ricorse, appena ne ebbe l'opportunità, dal rosso.
Era svenuto a terra.

***
S.a.
Woah
Lo so, è stato terribile.
Nah, tranquilli dai non piangete
*piange a dirotto*

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