50. Farrell

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Nella classifica dei gatti conosciuti più fastidiosi, irritanti, inopportuni e pericolosi metterei al primo posto senza ombra di dubbio quella piccola tigre indemoniata del Signor Poppy. Il tempismo con cui arriva sempre a rompere le palle è davvero impressionante.

Io e Grace ci separiamo di scatto quando il piccolo abete addobbato della sua cucina viene giù e rinuncio al batticuore che quel bacio mi stava facendo provare per l'infarto improvviso causatomi dall'impatto.

Di riflesso, mi accorgo dopo di essermi parato davanti a Grace per proteggerla e lei mi sta stringendo il petto impaurita, sbirciando dalle mie spalle.

Probabilmente la prima cosa che farà adesso sarà piangere e dirmi quanto ci teneva a questa pianta sintetica spelacchiata, che probabilmente le ricorda qualche momento condiviso col padre, così corro subito a tirarla su per evitare che accada.

Sommariamente è rimasto lo stesso di prima, anche le decorazioni sono intatte. Sembra addirittura più dritto, quindi "ehi, Signor Poppy, davvero un ottimo lavoro, eh!". Stupido caterpillar. Guardo Grace abbassando il mento mentre si separa dalle mie braccia che subito ricominciano a reclamare il suo calore.

<<La nostra pallina...>> inizia a dire. Seguo il suo sguardo e cade sull'unica cosa rotta che si trova a terra in mille pezzi. Ti pareva.

Si piega sul pavimento gelido e inizia a raccattare dei piccoli pezzetti di vetro tagliente, così mi accuccio ad aiutarla.

<<Era la preferita di mio padre.>> Immaginavo.

Per un istante vengo pervaso da uno strano senso di gelosia nei suoi confronti che, pur non essendo presente, ha il pieno possesso del cuore della figlia.

Vorrei dirle che è possibile aggiustarla, ma non sarebbe facile né tantomeno possibile, come invece lo è stato per le mie statuette. Così dico forse la cosa più sbagliata che esista quando si perde qualcosa di importante a cui si è legati da un valore affettivo. <<Possiamo ricomprarla.>>

Mi maledico subito dopo, quando mi fulmina con lo sguardo. <<Ci sono cose che non si possono comprare, Farrell.>>

Mi sotterrerei ora per aver fatto passare questo messaggio. Volevo solo esserle d'aiuto. Resto allora in silenzio, finendo di raccogliere tutti i pezzi di vetro rotto.

Quando abbiamo quasi ripulito tutto, ritrae di scatto la mano e noto che dal suo polpastrello esce fuori un rivolo di sangue, che osserva con un'espressione di sofferenza.

Le prendo delicatamente la mano e porto il suo dito sulle mie labbra, inumidendolo un po'. Questo gesto la fa sussultare e continua a osservarmi con le pupille dilatate. Reprimo il mio istinto di baciarla di nuovo, limitandomi a ricambiare lo sguardo con la stessa intensità. <<Ci sono, però, anche cose che fanno troppo male e ci portiamo dietro da troppo tempo. Dobbiamo saperle lasciare andare.>>

Alla fine l'ho invitata a venire da me, così che Martha potesse consolarla al contrario di come abbia fatto io, senza successo. Dopo l'ultima frase che le ho detto, si è alzata di scatto tirando indietro la mano e dicendomi di andarmene. Non avrebbe rinunciato ai suoi ricordi per nessun motivo al mondo. Capisco di non essere troppo bravo a esprimermi quando si tratta di cose troppo sentimentali; forse una volta lo ero ma, adesso, oltre che impacciato sono anche facilmente fraintendibile.

Quando si dice di "lasciar andare il passato" non si vuole invitare a dimenticare, quanto più ad accettare ciò che è stato per quello che è: passato, per l'appunto. Non può esservi speranza alcuna di vivere appieno il presente, tantomeno di costruire un futuro quando con la mente si è fermi a un passato che, a quanto pare, non passa. Ogni momento sarà la rievocazione di un altro già vissuto e che, per definizione, non si potrà mai ripresentare uguale a se stesso, costringendoci così a un reiterato senso di rammarico, malinconia e delusione legata all'impossibilità di soddisfare le nostre aspettative.

A Natale mi innamoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora